RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO
Caro Direttore,
ora che il governo giallo-rosso è a un passo dall’essere cosa fatta, non possiamo esimerci da una riflessione che riguarda anche noi, la nostra regione e la nostra povera Locride.
Che l’esecutivo nasca dalla più pura operazione trasformistica oggi possibile (non è un insulto, naturalmente, ma una notazione tecnica) non rientra tra i problemi che mi porrei, visto che non ho nessuna possibilità di risolverlo. A quanto pare, inoltre, il coro delle cancellerie europee e delle istituzioni dell’Unione è unanime nell’approvazione e prospetta maggiore tolleranza verso una politica economica aperta ad un maggiore stimolo pubblico all’economia italiana: se così fosse sarebbe comunque un bene, per quanto ottenuto sottostando a un ricatto, più volte denunciato con parole cristalline dal prof. Bagnai e da molti altri.
Trovo piuttosto ozioso anche pronunciarmi sui programmi del costituendo esecutivo, visto che l’esperienza passata e recente sembra mettere in evidenza come essi siano solitamente faticosamente assemblati per poi essere in larga parte disattesi.
C’è però un aspetto di quanto sta accadendo che mi inquieta e su cui vorrei richiamare l’attenzione dei tuoi lettori perché, da Calabresi, potremmo farne le spese.
A mio modesto parere, non è per nulla casuale che due forze come Movimento 5 Stelle e Partito Democratico trovino il punto, praticamente unico ma fondamentale, a partire sul quale giustificare la propria innaturale alleanza e ogni possibile compromesso al ribasso su questioni di natura politica, nel rinvio delle elezioni. Non si tratta di calcoli, quindi tirare ballo sondaggi e rilevazioni sarebbe fuorviante; si tratta di cultura e di metodo: i due partiti, infatti, per quanto (o forse proprio perché) traboccanti di retorica partecipativa e pretesamente antifascista, sono quelli che maggiormente si sono impegnati (finora separatamente e su fronti contrapposti) per la compressione e talora l’eliminazione degli spazi del reale confronto democratico, in ossequio a quella che ho preso l’abitudine di chiamare “logica commissariale”.
Tale forma mentis (volgarmente nota anche come “governo dei competenti” e spesso spacciata con forme paradossali per “democrazia diretta”) esige sempre la riduzione, la sospensione o l’abolizione di ogni tipo di organo decisionale collegiale e poggia su un assioma assunto acriticamente, per il quale solo tre categorie di persone avrebbero titolo a ben amministrare o ben governare: alti funzionari pubblici o magistrati, ufficiali delle forze armate e docenti universitari.
Costoro, in larga parte, anche per banali e intuitive ragioni psicologiche, sociologiche ed economiche, sono, in larga parte, rigidamente contrari ai cambiamenti più radicali, contrari ad una forte mobilità sociale e guardano con sospetto chi svolge attività non assimilabili alle proprie, come liberi professionisti e imprenditori. Per quanto siano persone degnissime e quasi sempre in buona fede, magari perfino animate da dolci sentimenti e propositi di cambiamento, hanno un preciso ma implicito e spesso neppure consapevole orientamento politico, né populista (come il mio) né tampoco di sinistra, che li guida infallibilmente nella propria attività.
Tale pilota automatico induce queste categorie di persone, una volta sottratte alla propria professione (in cui di solito eccellono) per affidargli poteri straordinari, all’indifferenza verso le situazioni di fatto, verso i diritti e i bisogni dei cittadini e all’applicazione di schemi procedurali, possibilmente standardizzati, che o vanno incontro ai desideri di chi li ha concepiti e formalizzati (appartati burocratici romani e brussellesi, lobby finanziarie ecc) oppure comportano il puro e semplice blocco totale di ogni attività. Criticare un ministro cosiddetto tecnico, un Cantone, un Cotticelli o una commissione straordinaria insediata in un comune ritenuto infiltrato dalla mafia, senza tener conto di queste considerazioni, sarebbe superficiale e ingiusto: le competenze, le capacità, l’onestà possono essere grandissimi, ma in questi casi conta lo spartito, non il musicista.
Per i problemi della Calabria e della Locride, che di tutto hanno bisogno meno che di astrattezza e immobilismo, questo approccio è il peggiore che si possa immaginare.
Il prossimo governo, visti i trascorsi delle due forze che dovrebbero sorreggerlo e le modalità con cui si sta costituendo, rischia di essere un’incarnazione di questo atteggiamento più insidiosa di ogni altra precedente, perché nasce sotto il segno di un’emergenza che si denuncia pretestuosa anche nei toni di coloro i quali la hanno più insistentemente proclamata: né l’onda nera fascista né lo spread né alcun altro argomento fino ad adesso espresso sembrano ragioni sufficienti per chiedere con tanta forza di non indire elezioni, che si svolgerebbero contestualmente con le tornate (anche anticipate) di altri paesi europei.
Ma non ci sarebbe da meravigliarsi se l’operazione avesse successo: denunciare stati di emergenza per invocare e ottenere poteri straordinari con lo scopo inconfessato di mantenere lo stutus quo, con il corollario della permanenza della nostra terra in condizioni di arretratezza, sono cose a cui assistiamo almeno dai tempi del Gattopardo. Ovviamente, caro direttore, sapendo di essere un profano della politica, spero di sbagliarmi…