BIVONGI – L’altra sera, come d’incanto, mi è capitato per le mani una vecchia pubblicazione a cura del Comune e del Centro anziani di Bivongi che tratta in modo molto dettagliato e comprensivo la gloriosa storia dell’artigianato e degli antichi mestieri allora molto diffusi, numerosi e variegati ed oggi purtroppo quasi tutti scomparsi. C’è da dire che negli anni 50 prima del terribile e continuo spopolamento dovuto all’emigrazione, le viuzze e le piazze di Bivongi paese ad alta vocazione agricola e artigiana, brulicavano di numerose botteghe artigianali e manufatturiere che oltre a rappresentare fonti di reddito e di ricchezza erano sedi di importante apprendistato per i giovani che nel doposcuola frequentavano assiduamente la bottega del mastro. Per non dire che rappresentavano luogo di accoglienza e di ritrovo per incontrare amici.
Prima di tutto nel libro doverosamente si evidenzia l’importante figura del mastro nella duplice veste di lavoratore e di istruttore dei numerosi discepoli. La moglie del mastro, caso strano, anche se non aveva i titoli e requisiti del caso veniva chiamata majistra o maddamma. I discepoli molto numerosi che non riuscivano a essere contenuti nei locali dovevano fare i turni, e a proposito di questo, il meccanico mastro Gimì che tornato dall’America aveva allestito una spaziosa e comoda officina deteneva il record di allievi che certe volte superavano anche le 20 unità.
La figura più caratteristica era quella del barbiere che per arrotondare il lunario faceva anche il calzolaio. Uno degli ultimi è stato il barbiere mastro Francesco Bombardieri il quale lavorò fino a tarda età tanto che per carenza di suoi colleghi si era meritato il titolo di barbiere dei giovani. Tra i tanti aneddoti che mi raccontava mentre mi tagliava i capelli ricordo quello che quando nella maggior parte dei casi i clienti erano impossibilitati di pagare si ricorreva al geniale utilizzo del baratto compensando il suo lavoro con qualche giornata di lavoro nei campi.
Non c’è spazio per indicare i moltissimi mestieri e mi limito a citarne alcuni come il fabbro, il falegname, le tessitrici e ricamatrici, il carbonaio, il maniscalco, il cestaio, lo stagnino, e per gli altri, anche leggere le dettagliate descrizioni vi invito a recarvi in biblioteca. Concludo esprimendo tutta la mia gratitudine al sindaco del tempo Ernesto Riggio e alla dottoressa Lucia Murace che con questa geniale idea che li ha portati a realizzare un’opera veramente unica del genere, istruttiva e rievocativa, hanno permesso una rievocazione ormai persa. Invito tutti, specialmente i giovani ad andare in biblioteca per leggere la storia gloriosa dei nostri avi e così riflettere che si stava meglio quando si stava peggio.