di Gianluca Albanese
LOCRI – Ha atteso più di un mese dalle dimissioni e, nel momento in cui ha avuto modo di esprimersi nella sede del consiglio comunale, l’ex assessore comunale Anna Sofia, ha dato vita a quello che più che un chiarimento di natura politica, come l’ha voluto definire in premessa, appare come un gigantesco atto d’accusa nei confronti del sindaco in primis, ma anche di altre figure non menzionate direttamente.
E aveva tanta di quella voglia di dire certe cose, la consigliera Sofia, che il giorno dopo la seduta consiliare di venerdì scorso, ha copiato e incollato sul proprio profilo Facebook, il testo dell’intervento reso nel civico consesso e che chi vuole potrà rivedere integralmente, nel video ripreso e montato dal nostro Enzo Lacopo, dal minuto 8’ 00” in poi.
Per la verità, anche l’altra dimissionaria dalla giunta, ovvero la consigliera Anna Baldessarro, è intervenuta, ma lo fatto con toni fermi ma meno eccessivi della collega, come si può vedere, sempre nel video di Enzo Lacopo, proprio di seguito all’intervento della Sofia.
Già, Anna Sofia.
Ha difeso innanzitutto il proprio operato di sette anni da assessore comunale, lasciando intendere di avere subito pressioni più o meno esplicite ad abbandonare il ruolo nell’esecutivo per ragioni (come da lei stessa descritte) non imputabili al suo operato di assessore ma a una spartizione di posti in giunta che, dopo il subentro di Raffaele Sainato in consiglio regionale (a seguito della misura cautelare che ha colpito il consigliere Creazzo, eletto prima di lui nella lista di Fratelli d’Italia) e la nomina della stessa Sofia come capostruttura dell’apparato di collaboratori dello stesso Sainato a palazzo Campanella, avrebbe dovuto tenere conto (sempre secondo la narrazione della Sofia) non dei meriti e del lavoro svolto, ma di una redistribuzione dei posti in giunta che inevitabilmente avrebbe alterato gli ormai consolidati (fino a un mese fa) equilibri tra la componente della maggioranza che fa capo al sindaco Calabrese e quella che invece si richiama al consigliere Sainato.
La logica del manuale Cencelli, insomma.
Quell’autentica guida alla spartizione dei posti di democristiana memoria che ispirò i criteri di distribuzione dei ruoli di governo e sottogoverno negli esecutivi monocolore e a guida Dc.
Che il sindaco Calabrese avrebbe, secondo la Sofia, voluto applicare e della quale, invece, è rimasto vittima, dando la stura a quella che lui stesso ha definito “una crepa all’interno della maggioranza”.
Perché se è vero che la gratificazione con un incarico fiduciario in consiglio regionale per la Sofia avrebbe dovuto giustificare le asserite pressioni per dimettersi dalla giunta comunale locrese, di manuale Cencelli si può e si deve parlare. E la Sofia lo fa, nel momento in cui dice che durante le fasi più calde di una trattativa dalla quale dice di essere stata esclusa, avrebbe appreso che il posto in giunta “In quota Sainato” sarebbe stato uno solo, invece dei tre occupati in precedenza. Una condizione inaccettabile per Sofia e Baldessarro che, solidali tra loro, hanno deciso di dimettersi insieme.
Una scelta, quest’ultima, che la Sofia dice e chiarisce di avere compiuto in autonomia. Anche da Sainato.
E c’è da crederle, perché già in passato aveva dimostrato che quando non era d’accordo con determinate scelte o iniziative, sapeva ragionare con la propria testa e non piegarsi alla disciplina del partito, o meglio, della corrente.
Fu così il 2 febbraio del 2018, quando Anna Sofia fu tra i pochissimi dell’allora maggioranza consiliare (insieme alle consigliere Aronne, Cappuccio e Mollica) a non sottoscrivere un appello di sostegno alla candidatura di Francesco Cannizzaro alla Camera dei Deputati, proprio perché appena 3 giorni prima, la stessa Sofia era stata firmataria di un altro documento, a firma di 76 amministratori e dirigenti forzisti del Reggino (e indirizzato direttamente a Silvio Berlusconi) in cui si esprimeva il dissenso per la mancata candidatura dell’altro allora consigliere regionale di Forza Italia Sandro Nicolò. Per intenderci, Sainato firmò entrambi i documenti. La Sofia no, solo il primo.
Ora, il punto è che al di là delle considerazioni politiche compiute dalla Sofia, concluse con un attacco che sembra assestato al sindaco Calabrese nel momento in cui dice che «non cambia nulla quando si fa politica disinteressatamente, senza pensare a prospettive di carriera parlamentari», ciò che maggiormente incuriosisce da un lato e inquieta dall’altro, è la seconda parte dell’intervento dell’ex assessore, nel momento in cui dice che «Ribadisco che Locri viene prima di tutto. Prima delle nostre ambizioni, prima delle invidie e delle cattiverie di cui sono stata spesso bersaglio. Sono più forte dei calunniatori, degli autori di pizzini lasciati sulle scale del Palazzo comunale, più forte delle telefonate calunniose, sono più forte degli avversari sleali, che agiscono con le braccia, con le penne e i profili degli altri, sono più forte dei detrattori. Sono una donna, che ha sposato una battaglia e la proseguirà con onestà. E che dopo avere appreso diligentemente già sufficienti elementi dell’arte della politica, adesso nel pieno della maturità istituzionale, pur privata del ruolo che ha ottenuto grazie al consenso di un vasto elettorato e del lavoro svolto con umiltà assoluta, ma anche con determinazione, non arretrerà rispetto a suoi doveri verso la città.
Proprio in ragione di ciò – ha proseguito la Sofia – essendo io stata sempre attenta alle incompatibilità (qualcuno ha avuto da ridire su una iniziativa di un mio familiare che è assolutamente dimensionata nel contesto della legalità, alla pari di analoghe situazioni che hanno visto protagonisti colleghi di maggioranza ) invito coloro che si apprestano a governare la città a rimuovere le situazioni di incompatibilità e potenzialmente pregiudizievoli del buon operato di un amministratore, perchè non si può non essere servitori del principio secondo il quale il controllore non può controllare se stesso e il controllato non può ribaltare il suo ruolo. Anche in ragione di questo principio di assoluta trasparenza il mio impegno di assessore è stato costantemente indirizzato a promuovere e realizzare atti e decisioni diretti al totale rispetto della legalità e alla lotta all’inaccettabile potere ‘ndranghetistico. Azione che ho posto in essere non esaltando il mio agire personale, ma condividendo, sebbene talvolta si sia rilevata qualche assenza tattica, evidentemente non mia, lo spirito che animava l’impegno dell’esecutivo comunale di cui ho fatto parte. Non ho esaltato questo con enfasi da social ma ho agito concretamente».
Parole, quelle della Sofia, che pesano come macigni.
Parlare di calunnie, “pizzini”, slealtà e telefonate calunniose, adombrare asseriti conflitti d’interesse tra controllore e controllato e, soprattutto, di assenze tattiche dalle riunioni di giunta da parte di non meglio identificati assessori mentre si intraprendevano azioni di contrasto alla ‘ndrangheta, non è roba di poco conto.
E la Sofia, che da avvocato conosce bene l’etica della responsabilità, lo sa.
Il punto è che, stante la gravità delle accuse appena accennate, la rilevanza pubblica delle stesse e il fatto che non riguardino questioni private ma l’amministrazione pubblica di una comunità di 12.000 abitanti, così come sono formulate, non possono, a oggi, assumere il rango di una denuncia.
Se la consigliera Sofia vorrà davvero andare avanti e spiegare pubblicamente il significato degli scenari appena accennati e che, così come sono stati descritti, appaiono più consoni a un “palazzo dei veleni” che a una residenza municipale, dovrà essere più chiara e precisa.
Perché nomi, fatti e circostanze sono gli elementi che distinguono una coraggiosa denuncia da una mera calunnia.