di Domenica Bumbaca
All’inizio di questa emergenza abbiamo trattato l’argomento sulla didattica a distanza, ascoltando e raccontando come si stava vivendo la fase iniziale della DAD. Sono passati due mesi e molte cose sono cambiate, procedure diverse nelle scuole, video lezioni in alcune, piattaforme in continuo aggiornamento. Oggi le mamme e i papà sono impegnati con maestri, professori, dirigenti a comprendere quale sia la miglior alternativa per non “perdere” tempo e continuare le attività didattiche.
Studenti e alunni impegnati nelle ore mattutine e pomeridiane per seguire la scuola che, se pur si tenta di avvicinare, è sempre lontana. Non per la didattica ma per il contatto, la relazione, lo scambio di penne e la complicità per un compito scopiazzato. Sono lontani gli sguardi delle maestre, le chiacchiere tra mamme, anche se i gruppi whatsapp non mancano, il sorriso dei collaboratori scolastici, gli abbracci dei bambini. Proprio a loro, i più piccoli, senza metodo e con tante domande senza risposta, si ferma la riflessione.
Lo abbiamo chiesto ad una psicologa, Santina Cova.
È piccolo … non capisce, non si rende conto! Non è in gradi di …
Talvolta questi sono stati gli incipit, negli ultimi mesi, quando si è discusso tra i non esperti in materia di didattica delle scuole dell’infanzia. Ciò, sebbene il MIUR, a partire dai presupposti psico-pedagogici, avesse impartito precise disposizioni con nota 388 del 17 marzo 2020, secondo le quali si sarebbe dovuto garantire a tutti gli alunni la continuità didattica ed educativa, attivando a tal fine forme di didattica a distanza improntate su una dimensione ludica e calibrate sulle capacità cognitive dei minori in crescita, su inclinazioni e possibilità, anche solo con semplici messaggi vocali o video veicolati attraverso i docenti o i genitori rappresentanti di classe, nel rispetto di un giusto equilibrio tra attività didattiche a distanza e momenti di pausa, in modo da evitare i rischi derivanti da un’eccessiva permanenza davanti agli schermi.
Eravamo abituati, a portare un po’ di casa dentro la scuola, magari concedendo ai bambini oggetti transizionali, oggi è la scuola ad entrare nelle case e direttamente nei cuori dei piccoli alunni.
Molte maestre hanno cercato di non perdere di vista i propri alunni utilizzando i mezzi tecnologici a loro disposizione per sostenerli sul piano didattico oltre che psicologico, inoltrando quotidiani racconti di favole con la voce delle maestre, spedendo audio o video nei quali dettavano suggerimenti e indicazioni su piccoli giochini da svolgere, magari insieme a mamma e papà, o anche semplicemente facendo sentire la propria voce per un breve saluto. Proposte che sono state organizzate anche come link on line fruibili da tutti.
Brevi momenti necessari per non far sentire smarriti i loro piccoli all’interno di una nuova realtà impregnata di mascherine, guanti e tanta paura! Momenti per farli sentire rassicurati, farli sperare sempre che presto tutto tornerà come prima. Voci che fanno sentire che le maestre e la scuola li attendono con gioia, che non li fanno sentire soli a gestire un cambiamento forzato e poco comprensibile, appuntamenti quotidiani funzionali a permettere anche di scandire il tempo, di garantire il rispetto di regole quotidiane, tra ritmi sonno-veglia, pasti, televisione e tablet, magari non seguite nelle loro “perenni domeniche”. È, infatti, il ripetersi di precise routines che permette ai bambini di cogliere il senso del prima e del dopo, di acquisire la capacità di anticipare gli eventi, di costruire la mappa temporale e spaziale di questo periodo della propria vita.
La costruzione di un nuovo ponte, di mattoni, diremmo citando la favola dei tre porcellini, è passaggio fondamentale per proteggere i piccoli e il loro mondo interno, rappresenta un distretto in grado di unire il conosciuto mondo vis a vis con i nuovi orizzonti lontani. Uno strumento essenziale per ovattare i bambini rispetto all’esposizione a possibili sconvolgimenti psicologici che, la scienza ci insegna, si scorgeranno solo tra qualche tempo e che richiederanno inevitabilmente l’intervento di personale specialistico. Sarà solo allora che potremo spiegarci l’ipercinesi dei nostri piccoli, il subbuglio di emozioni apparentemente inspiegabili che ci hanno mostrato, la loro ansia, il loro nervosismo, la loro rabbia, le loro preoccupazioni, l’incapacità di procrastinare qualsivoglia gratificazione. Questi solo alcuni dei comportamenti manifesti di piccole creature che solo così sono in grado di canalizzare e comunicare le loro emozioni. Un modo in cui il corpo diventa strumento della mente. Loro che non sanno dirci esattamente cosa provano, loro che restano ancorati al concreto per una “limitazione” cognitiva propria della coorte di appartenenza, loro che in soli quindici giorni potrebbero aver dimenticato i riferimenti che così solidi sembravano, rapporti che avevano imparato a coltivare quotidianamente nella loro seconda casa, la scuola, agenzia fondamentale nel loro percorso di crescita.
E oggi, iniziata la fase 2, è pur vero che potranno rivedere i nonni, potranno fare una passeggiata, ma persisterà la necessità di continuare con le rinunce tra scuola, amici, feste, parco-giochi, abbracci e perché no di abbandonare un tempo pieno con mamma e papà, momenti nei quali gli adulti sono stati richiamati con forza ad esercitare il loro compito di genitori, non potendo demandare la fruizione del tempo libero a altri, non potendo più “incasellare” i piccoli in mille attività giornaliere per via degli impegni lavorativi dei grandi.
Garantire la normalità, pertanto, si è rivelata e si paleserà come necessario per dare sicurezza in un marasma di improvvisazione e incertezze, per permettere che i piccoli, sin dalla tenerissima età, sin dalle prime classi delle scuole dell’infanzia, non subiscano ulteriori stress, per colmare il vuoto della scuola che si spera non crei un buco emotivo, oltre che formativo nel loro futuro, per fargli percepire la persistenza del sentimento di appartenenza alla comunità, la necessità dello stare insieme, per sentire che la relazione c’è, non si è rotta, non si è spezzata e presto riprenderà.
La Scuola dell’Infanzia è luogo di apprendimento privilegiato e di sviluppo per la fascia dai tre ai sei anni, spazio dove si costruiscono apprendimenti e relazioni, dove avvengono gli incontri con gli altri e con i saperi. Come tale la Scuola ha il dovere di rispondere e di riorganizzarsi di fronte a una situazione imprevista, senza precedenti nella storia repubblicana, confermando la propria mission.
Sperimentare la lontananza fisica non può e non deve essere significare per i piccoli abbandono.
Santina Cova
Psicologa-Psicoterapeuta
Giudice Onorario presso il Tribunale per i Minorenni di Catanzaro