di Patrizia Massara Di Nallo
Emerge da uno studio pubblicato sullo European Journal of Pain una nuova scoperta scientifica che aiuterà i pazienti affetti da fibromialgia: si tratta di una ‘tuta’ che, dotata di elettrodi per la stimolazione di specifici gruppi nervosi e muscolari, è in grado di ridurre il dolore e i disturbi associati a questa subdola malattia. La fibromialgia è una patologia reumatica non infiammatoriache colpisce oltre 2 milioni di persone in Italia, più spesso donne in età adulta. I sintomi possono comparire in modo graduale e aggravarsi con il passare del tempo, oppure esordire improvvisamente dopo un evento scatenante, come un trauma fisico, un’infezione o uno stress psicologico. E’ caratterizzata soprattutto da dolore cronico diffuso che colpisce il sistema muscoloscheletrico, ma può essere accompagnata anche da affaticamento, disturbi del sonno, deficit di memoria e concentrazione.
La ricerca negli ultimi anni, quindi, ha compiuto importanti passi avanti e, pur senza giungere a una risoluzione, ha identificato terapie che possono aiutare a gestire i sintomi e chiarito alcuni possibili meccanismi alla base della patologia. Sembra che a causare il dolore cronico possa essere una compromissione del modo in cui il cervello processa lo stimolo doloroso ed è a questo livello che agisce la ‘neurotuta’, un dispositivo (Exopulse Mollii, sviluppato dalla tedesca Ottobock) composto da una giacca e dei pantaloni in cui sono distribuiti 58 elettrodi di stimolazione che agiscono specificamente sui gruppi muscolari di tutto il corpo. Utilizzando impulsi elettrici a bassa frequenza, la tuta stimola nervi e muscoli allo scopo di interrompere o modificare i segnali del dolore inviati dai nervi al cervello e, in tal modo, riduce la percezione del dolore e altri sintomi associata alla fibromialgia. Il nuovo studio ha dimostrato che questo approccio è efficace nella sperimentazione condotta all’ospedale universitario Henri Mondor, a Créteil, alle porte di Parigi, che ha coinvolto 33 persone.
I pazienti hanno indossato la tuta un’ora al giorno per circa un mese e a partire dalla seconda settimana i ricercatori hanno riscontrato una riduzione del dolore del 14% che è arrivata fino al 25% dopo 4 settimane. Sono stati riscontrati anche miglioramenti nella capacità di svolgere le normali attività quotidiane e per misurare questo aspetto è stato utilizzato un indice (il Fibromyalgia Impact Questionnaire) che, al termine dello studio, è migliorato del 21%. È cresciuta, invece, del 54% la qualità di vita e si è ridotta del 12% la presenza di sintomi depressivi.
L’approccio terapeutico più adeguato alla fibromialgia è quello multidisciplinare che prevede sia l’utilizzo di farmaci che interventi comportamentali. Fra i farmaci che possono essere prescritti per meglio controllare la sintomatologia dolorosa sono inclusi analgesici, miorilassanti ed antidepressivi e contestualmente sono auspicabili interventi sullo stile di vita che aiutino a gestire questa patologia cronica nel tempo e tra questi: il miglioramento della qualità del sonno, il controllo del peso corporeo e il mantenimento di un’attività fisica regolare con percorsi di fisiochinesiterapia mirata e adattata al singolo paziente. Molto spesso vengono consigliati counseling psicologici e l’adozione di tecniche di rilassamento per ridurre lo “stress” derivante dal dolore cronico. Oggi, grazie alla ricerca, si ha un aiuto in più ed ecco, di seguito, la testimonianza di una paziente.
<<Già da piccola avevo dolori diffusi, soprattutto alle gambe, ma tutti mi tranquillizzavano dicendo che era un disturbo transitorio dovuto alla crescita>>, racconta Sveva Bonomi, una giovane donna affetta da fibromialgia. In realtà, col tempo <<sono arrivata a un punto in cui facevo fatica a stare seduta o a stare concentrata, al punto che alla mia prima sessione di esame all’università non riuscivo a ricordare le cose che sapevo bene>>, aggiunge Sveva, che ora sta conducendo un dottorato di ricerca proprio sulla sua patologia. Sveva Bonomi è tra le pazienti che oggi usano la tuta e ha detto: <<L’ho provata, sapendo che non tutti i pazienti sono uguali, ma quando ho fatto la prima prova e ho visto come mi sono sentita ho dato un sospiro di sollievo: per me funziona>>.
(Fonti: Ansa e Humanitas)