Una madre che ha perso suo figlio 47enne, che non si capacita di come sia potuto accadere perché lei lo aveva visto soltanto tre giorni prima in quella sorta di gulag in cui egli era stato confinato. “Stava bene”, ripete quasi ossessivamente, quasi a convincersi che non è possibile che il figlio sia morto, che è soltanto un brutto sogno. Ella sta per crollare dinanzi a cotanta disumanità, ma soprattutto al cospetto del gelido silenzio che si è alzato intorno a lei ed alla sua famiglia, per quel sacrosanto diritto di prendere il corpo del figlio ed andare a piangere sulla sua tomba. Un diritto ignobilmente calpestato, nel disinteresse mondiale.
di Antonio Baldari (foto fonte Ansa)
Il prossimo 4 aprile compirà 70 anni ma, con ogni probabilità, non festeggerà. Perché non ne ha alcun motivo la signora Lyudmila Navalnaya, ai più sconosciuta ma che nella vita di ogni giorno è la madre di Alexsej Anatolievich Navalny, il più strenuo e coraggioso oppositore politico a Vladimir Putin, presidente-dittatore della Federazione Russa: una madre che ha perso suo figlio, il 47enne Alexsej, e che non si capacita di come sia potuto accadere perché lei lo aveva visto soltanto tre giorni prima in quella sorta di gulag in cui egli era stato confinato. “Stava bene”, ripete quasi ossessivamente, quasi a convincersi che non è possibile che il figlio sia morto, che è soltanto un brutto sogno.
Sì, stava bene Alexsej, nonostante tutto, ma non avendo però considerato che, come si suol dire, la vendetta è un piatto che va consumato freddo, anzi, viste le circostanze, gelido; e così, nel gelo siberiano, lo strenuo attivista ha perso la vita e la sua mamma ancora non ne sa il perché, può immaginarlo visti i precedenti del figlio nei riguardi del presidente della Federazione Russa, e cioè che Alexsej sia stato avvelenato: lei è ritornata fin lassù a vedere e prendere il corpo del figlio ma le è stato detto che non è lì.
E le viene indicato l’obitorio di una località dalla quale, però, hanno fatto subito sapere che non è lì; ci sono con lei gli avvocati ed altre persone che provano a sostenerla ma è un groviglio di pensieri, di ipotesi, di supposizioni che freneticamente si susseguono, dal momento in cui la signora Lyudmila ha saputo che il figlio è morto per una non meglio specificata “sindrome improvvisa”, a cui hanno poi fatto seguito altre illazioni, spazzate via dalla nuora della signora Navalnaya, Julija, che ha laconicamente affermato: “Mio marito è stato ucciso con il Novichok”.
Che è un potentissimo agente nervino evidentemente in grado di uccidere una persona, di uccidere Alexsej Navalny, la cui mamma vorrebbe non tanto sapere il perché ma rivedere e riavere con sé il figlio, per il quale sono da ieri sera in rete le immagini e i video del trasporto proprio di Alexsej per una non meglio definita località. Che vorrebbe sapere quale sia, la signora Lyudmila, per andare a riprenderselo, rispettando quello che è un suo, sacrosanto, diritto: stamattina la notizia diffusa che “Ci vogliono ancora altri quindici giorni per effettuare dei rilievi chimici”.
Rilievi chimici di cosa? Perché? Lyudmila Navalnaya sta per crollare dinanzi a cotanta disumanità, ma soprattutto al cospetto del gelido silenzio che si è alzato intorno a lei ed alla sua famiglia, per quel sacrosanto diritto di prendere il corpo del figlio ed andare a piangere sulla sua tomba. Un diritto ignobilmente calpestato, nel disinteresse mondiale perché, ancora una volta, come duemila anni fa, è meglio che muoia uno per tutto il popolo.
Qui, però, non è più uno, da tempo immemore, essendo dieci, venti, trenta oppositori che vogliono democraticamente dire la propria ma lì il presidente-dittatore non vuole. Non lo permette, con il lasciapassare di tutti i capi delle nazioni. Nessuno escluso.