di Patrizia Massara Di Nallo
Se facciamo riferimento alla trattazione della Passione e della Resurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo nell’arte, sono indelebili nella nostra mente le innumerevoli immagini che ci hanno da sempre incantato e commosso come, per esempio, nella pittura la drammatica Flagellazione del Caravaggio o nella scultura la plasticità composta e disarmante della Pietà michelangiolesca o nella musica l’incisività della melodia dello Stabat Mater di Rossini. L’arte poetica, per la sua stessa genesi, essenza e insita capacità di cantare l’ineffabile, è tuttora una delle forme più congeniali al canto religioso e quindi fra le più proficue e immediate riuscendo a farsi talvolta preghiera e invocazione, talaltra lode o interrogazione sul Mistero. Anche quindi nel panorama della letteratura, e non solo italiana, la poesia si è necessariamente avvicinata con timorosa e tenera devozione a questi sacri temi quali tappe fondamentali per la vita dell’umanità. In questo cronologico viaggio letterario consideriamo i versi della prosa –poesia di Sant’Agostino, tratti dai suoi “Discorsi”, che uniscono il mistero dell’Incarnazione a quello della Resurrezione del Signore, che attrae tutti a Sé: La Parola ha sopportato che la sua carne/fosse appesa al legno,/la Parola ha sopportato/che i chiodi fossero piantati nella sua carne,/la Parola ha sopportato/che la sua carne fosse trafitta dalla lancia,/la Parola ha sopportato/che la sua carne fosse deposta nella tomba,/la Parola ha risuscitato la sua carne,/l’ha offerta allo sguardo dei suoi discepoli,/s’è presa ad essere toccata dalle loro mani./Essi toccano e gridano:/“Mio Signore e mio Dio”./Ecco il giorno che ha fatto il Signore.
In Irlanda, databile tra il V e il X secolo, rifulge, come prima espressione poetica europea in lingua volgare, la poesia-preghiera attribuita a San Patrizio (387-461). Secondo la leggenda proprio recitando questa poesia S. Patrizio si trasformava in daino e sfuggiva ai suoi nemici. Da qui il curioso titolo dell’opera “Il grido del daino” che viene ad affiancarsi all’altro titolo “Lo scudo di Patrizio”. Io sorgo oggi/grazie alla forza della nascita in Cristo e del suo battesimo,/alla forza della sua crocifissione e della sua sepoltura,/alla forza della sua resurrezione e della sua ascesa,……
Nella letteratura medievale Tommaso da Celano (1215 -1260) nel suo celebre “Dies irae”, inno che vuol essere una preghiera di salvezza dell’anima, prorompe: Cercandomi ti sedesti stanco;/mi redimesti, patendo la croce;/tanta fatica non sia sprecata! E continua accoratamente:Tu che assolvesti Maria/ed esaudisti il ladrone,/ desti speranza anche a me. in cui la Croce, già illuminata dai raggi della Risurrezione, è trono di gloria e strumento di vittoria. E come non menzionare Iacopone da Todi (1236-1306) che nella letteratura religiosa in volgare instaura quasi una rappresentazione teatrale i cui protagonisti sono il dolore di Maria e il martirio di Cristo. Infatti nella lauda drammatica, “Il pianto della Madonna”, mentre le parole del nunzio sono come un grido che s’alza e corre, Maria parla con il Figlio e geme su di Esso. Il Figlio a Sua volta si affligge per il dolore materno, mentre tutte le fasi del Martirio si avvicendano inesorabilmente in un’incalzante musicalità versificatrice: Nunzio:Donna del Paradiso,/ lo tuo figliolo è priso,/Jesu Cristo beato./Accorra donna, e vide/Che la gente l’allide!/Credo che lo s’occide,tanto l’on flagellato./Maria:Como esser porrìa/Che non fece mai follia,/Cristo, la speme mia,/omo l’avesse pigliato?/Nunzio: Madonna, egli è traduto;/Juda sì l’à venduto;/trenta denari n’ha ’vuto,/fatto n’à gran mercato./Maria: Succurri, Magdalena;/gionta m’è addosso piena;/Cristo figlio se mena,/como m’è annunziato./Nunzio: Succurri, Madonna, Aiuta!/Ch’al tuo figlio se sputa,/e la gente lo muta:/hanlo dato a Pilato……/ più avanti Iacopone dice:O figlio, figlio, figlio,/ figlio,/amorosogiglio,/figlio,chi dà consiglio/al mio cor angustiato?…/.Nunzio:Donna la man gli è presa,/e nella croce gli è stesa,/con un bollon gli è fesa, tanto ci l’on ficcato!/L’altra mano se prende,/nella croce se stende,/e lo dolor s’accende,/che più è moltiplicato./Donna, li piè se prenno,/e chiavellanse al legno;/onne iontura aprenno,/tutto l’han desnodato…./Maria: meglio averien fatto/che ’l cor m’avesser tratto……/Cristo:Mamma, o?sei venuta’mortal me dài feruta,/chè ’l tuo pianger me stuta,/chè ’l veggio sì afferrato…./Maria: Figlio, l’alma t’è uscita/,figlio de la smarrita/O Joanne , figlio novello,/morto è lo tuo fratello!/Sentito aggio l’l coltello/ Che fo profetizzato,/che morto ha figlio e mate,/de dura morte afferate;/trovarse abbracciate/mate e figlio a un cruciato. in una suggestiva e compassionevole interpretazione poetica del nostro essere accompagnati e compagni della Madre, condividendo con Lei prima il dolore e poi l’attesa.
Nel XXXI canto del Paradiso, come in tutta la Commedia, Dante (1265-1321) afferma lo stato di colpa dell’umanità, la via della liberazione e la certezza della Redenzione declamando: forma dunque di candida rosa/mi si mostrava la milizia santa/che nel suo sangue Cristo fece sposa per cui il Venerdì Santo non è giorno di pianto, né di lutto, ma di amorosa contemplazione del sacrificio redentore da cui è scaturita la salvezza per l’umanità- chiesa-sposa.
Nel XV secolo la letteratura francese, segnando lo sviluppo finale del teatro religioso, si sublima nella “Passio” del poeta Jean Michel che narra il dramma della Passione, dalla predicazione di san Giovanni Battista fino alla morte di Cristo. Quest’opera (62000versi), che per la sua complessità veniva rappresentata in dieci giorni, ci rivela una realistica forza drammatica in uno stile vigoroso e patetico: “Dialogo della Madonna e di Gesù”. Madonna:Almeno vogliate ,per grazia vostra,/morire di morte breve e leggera!/Gesù: Io morirò di morte molto amara…../Madre: non molto spiacevole e vergognosa/Gesù: Ma molto ignominosa…./.Io sarò appeso e tirato/Tanto che si conteranno tutte le mie ossa……/Madre: Alle mie materne domande/non date che dure risposte/Gesù: Bisogna compiere le scritture. Il poeta Francois Villon (1431-1480), su richiesta della propria madre, compone una toccante ballata in cui fa parlare direttamente lei, donna umile, che rivolge alla Madonna una preghiera ardente. Ne scaturiscono immagini di un realismo talvolta pittoresco, talaltra troppo crudo, ma in cui si ravvede riflessa la pietà stessa del poeta. L’Onnipotente ,prendendo la nostra debolezza,/lascia i cieli e viene a soccorrerci,/offre alla morte la sua carissima giovinezza;… che ci spingono a vivere nella vigilanza della Risurrezione del Signore che sconfiggendo la morte ci dona la sua vita e si offre come Agnello pasquale fattosi cibo. E più tardi, nel Rinascimento, anche Gaspara Stampa (1523-1554), che compose le liriche più schiette fra quelle delle donne poetesse, nel suo “Canzoniere” fa scaturire una preghiera che libera e concilia. Tu volesti per noi, Signor, morire,/Tu ricomprasti tutto il seme umano:/Dolce Signor, non mi lasciar perire!
In pieno Romanticismo Alessandro Manzoni (1785-1873), nei celeberrimi Inni, introduce una poetica più vera, viva e condivisibile che non rimane solo atto di contrizione soggettiva ma contiene un messaggio universale divenendo la piena esaltazione dei sentimenti suscitati dalla Fede nell’Umanità. Nell’inno “Il nome di Maria” composto tra il 1812 e il 1813 Manzoni si esprime Tu pur, beata, un dì provasti il pianto;//né il dì verrà che d’oblianza il copra:/anco ogni giorno se ne parla;e tanto/ secol vi corse sopra. Nell’inno “La Resurrezione” del 1812 annuncia:
E’ risorto : il capo santo/Più non riposa nel sudario/E’ risorto:dall’un canto/ Dell’avello solitario/Sta il coperchio rovesciato./Come un forte inebriato/Il Signor si risvegliò. Più avanti prosegue: Tale il marmo inoperoso,/Che premea l’arca scavata,/Gittò via quel Vigoroso,/Quando l’anima tornata /Dalla squallida vallea,/Al Divino che tacea:/Sorgi,disse, io son con Te.
Con riferimento al giorno della Resurrezione esclama: Era l’alba;e molli il viso/Madddalena e l’altre donne/ Fean lamento sull’Ucciso;e continua:Un estranio giovinetto/Si posò sul monumento:/Era folgore l’aspetto,/Era neve il vestimento:/Alla mesta che ‘l richiese/Diè risposta quel cortese:/E’ risorto ; non è qui.e di seguito così: O fratelli, il santo rito/Sol di gaudio oggi ragiona;/Oggi è giorno di convito;/Oggi esulta ogni persona: ed esclama: Nel Signor chi si confida/Col Signor risorgerà. Ne “La Passione”del 1814-1815 sempre il Manzoni: Egli è il Giusto che i vili han trafitto,/Ma tacente, ma senza tenzone;/Egli è il Giusto; e di tutti il delitto/Il Signor sul suo capo versò. leggendo oltre: Volle l’onte, e nell’anima il duolo,/E l’angosce di more sentire,/E il terror che seconda il fallire,/Ei che mai non conobbe il fallir./La repulsa al suo prego sommesso,/L’abbandono del Padre sostenne:/Oh spavento!/L’orribile amplesso/D’un amico spergiuro soffrì.
Di seguito: Oh spavento!Lo stuol de’ beffardi/Baldo insulta a quel volto divino,e poi aggiunge: Quell’Afflitto depose la fronte,/E un altissimo grido levando,/Il supremo sospiro mandò. Continua: E tu, Madre, che immota vedesti/Un tal Figlio morir sulla croce,/Per noi prega,o regina de’ mesti,/Che il possiamo in sua gloria veder/Che i dolori, onde il secolo atroce/Fa de’ boni più tristo l’esiglio,/Misti al santo patir del tuo Figlio/Ci sian pegno d’eterno goder. Ne “La Pentecoste” del 1817-1822 M. declama: quando il tuo Re, dai perfidi/tratto a morir sul colle,/imporporò le zolle/del suo sublime altar?/E allor che dalle tenebre/La diva spoglia uscita,/mise il potente anelito/della seconda vita;…..e continua: Non sa che al regno i miseri/Seco il Signor solleva?/Che a tutti i figli d’Eva/Nel suo dolor pensò?
A metà del IX secolo Paul Verlaine (1844-1896) in “Mon Dieu m’a dit…” si rivela un poeta raffinato avvalendosi di una versificazione impalpabile, musicale e mistica Il mio Dio mi ha detto: ”Figlio mio , bisogna amare. Tu vedi/ il mio fianco trafitto,/ il mio cuore che si irraggia e che sanguina,/e i miei piedi offesi che Maddalena bagna/con le lacrime, e le mie braccia dolenti sotto i pesi/dei tuoi peccati, e le mie mani!…./.Non ho amato fino alla morte io stesso, o mio fratello in mio Padre, o figlio mio nello Spirito,/e non ho sofferto come era scritto?…
Giungiamo al crepuscolarismo di cui fu esponente Sergio Corazzini (1886-1907) che compone la gioiosa “La crocetta d’oro”: Io porto tanto amore/a una crocetta d’oro/che s’apre sul mio cuore…/,,,..Io l’amo poiché so/che croce fu dolore,/e assai ne spasimò/un mio dolce Signore. e Guido Gozzano (1883-1916) che nella lirica “Pasqua” del 1906 vuole trasmettere ai lettori un’impressione d’ingenuità cantando: Quand’ecco dai pollai sereno e nuovo/il richiamo di Pasqua empie la terra in un’irresistibile tendenza verso la prosa appena rianimata dalla cadenza degli accenti del verso. Sempre all’inizio del ventesimo secolo Giovanni Pascoli (1855-1912) nel suo tentativo di poesia epica “Le canzoni di re Enzio” (1909) verseggia: Vieni con noi, vieni a mangiar la Pasqua,/siediti a mensa, chè l’agnello è pronto. E poi: Fatevi incontro, a lui gettate i rami/ D’uliva, a lui stendete la schiavine/Per terra, a lui gridate, Hosanna!…Il Pascoli, che testimoniò sempre per i semplici, gli umiliati e coloro che si trovavano nella sofferenza, arrivò a mostrare nel dolore quasi un privilegio morale e nella morte l’iniziazione al misterioso segreto del mondo. Poesia quindi che, nata dalla vita fatta di gioie e di dolori, nella raccolta “Myricae” verseggia così: Il morticino./Non è Pasqua d’ovo?/Per oggi contai di darteli, i piedi./E’ Pasqua: non sai?/E’ Pasqua:non vedi.
Il poeta minimalista Angiolo Silvio Novaro (1866-1938) ne “Il pianto della Madonna” ci lascia versi semplici e commoventi: Con che lagrime, con che duolo/contempli il Figliolo,/che mano feroce/costrinse alla Croce!/Con che cuore, ohimè, lo vedi/trafitto nei polsi e nei piedi/e ferito di punta e di lancia,/livido il petto, livida la guancia!/E ti stringi col seno e i ginocchi/al sacrosanto legno,/e piangi, piangi senza ritegno,/e sul tuo disfatto viso /cola il sangue dell’Ucciso!/Mentre la terra trema/e il sol vien meno,/accioglilo nel seno,/bacialo piano piano/sul costato e sulla mano/e sulle palpebre chiuse/il Diletto, che il sangue effuse./E poi lascia che i pietosi/l’ungano d’olii odorosi,/e riceva a notte scura/furtiva sepoltura. Ricordiamo anche la poesia-prosa “L’ora della passione” di B.Pasternak (1890-1960) dove la musicalità del verso soccombe alla drammaticità del quadro:…per terra/ i discepoli, vinti dal sonno,/giacevano nell’erba lungo la strada./Li destò:/“L’ora del Figlio dell’uomo è venuta./Egli si darà in mano ai peccatori”./E aveva appena parlato, che, chissà da dove,/ecco una folla di servi, una turba di schiavi,/luci, spade e, davanti a tutti, Giuda/col bacio del tradimento sulle labbra./Pietro tenne testa con la spada agli sgherri,/ma sente:”Non col ferro si risolve la contesa,/rimetti a posto la tua spada, uomo./Pensi davvero che il Padre mio di legioni alate/Qui, a miriadi, non m’avrebbe armato?/E allora, incapaci di torcermi un capello,/ i nemici si sarebbero dispersi senza lasciar traccia./Ma il libro della vita è giunto alla pagina/ più preziosa./Ora deve compiersi ciò che fu scritto./Lascia dunque che si compia”.
Ungaretti (1888-1970), che in un ermetismo mai desertico contempla i segreti del mondo nei vari temi della condizione umana, si avvicina con circospezione al Sacro Tema ne “La preghiera”: Fa’ che l’uomo torni a sentire/Che ,uomo,fino a te salisti/Per l’infinita sofferenza. Fra i poeti del ventesimo secolo anche David Maria Turoldo (1916-1992), esponente del rinnovamento del cattolicesimo della seconda metà del Novecento e considerato per questo“coscienza inquieta della Chiesa”, nella poesia “O sensi miei..” parla del Crocifisso che, tra due uomini agonizzanti, indicò la via della speranza e della Redenzione. “Ma come poi/ avresti potuto dire:/-Nelle tue mani rimetto lo spirito?-/Avresti vinto per un atto di fede/senza speranza?” Sempre da “O sensi miei”…“solo… con la mole/del mondo sul cuore;/solo,/sotto la cupa volta del cielo,/un cielo ancor più assente /e sordo /e lontano” nella quale il Divino silenzioso si stringe indissolubilmente all’essere dell’uomo nel mondo.
E Mario Luzi (1914-2005), dopo aver accennato in alcuni versi ai resti festosi del Carnevale rapiti dall’“aspro vento di Quaresima” e dopo essersi espresso “avvento della luce che ci unifica e ci assolve….” è stato, per incarico del pontefice Santo Giovanni Paolo II, l’autore delle meditazioni della Via Crucis per la processione del Venerdì Santo del 1999. Congedarmi mi dà angoscia più del giusto./Sono stato troppo uomo tra gli uomini o troppo poco?/Il terrestre l’ho fatto troppo mio o l’ho rifuggito?/La nostalgia di te è stata continua e forte,/tra non molto saremo ricongiunti nella sede eterna.
Di Giovanni Testori (1923-1993) diverse poesie di ispirazione religiosa manifestano un percorso, costantemente messo alla prova, di ricerca e di Fede. In “Crocifissione”, quando Cristo cade per la seconda volta, dice : è qui il pegno,/sacro legno,/ fama, /orma.
Ci appare quindi evidente in questo excursus poetico, fiorito in varie epoche ad opera di scrittori di diversa formazione e coscienza, che si possa cogliere, pur nella pluralità di stili espressivi e di interpellanti sentimenti umani, lo stesso tenace afflato che nutre e sorregge il pensiero, lo stesso sconvolgimento e stupore dell’anima, la medesima incrollabile Fede nella Passione e nella Resurrezione: Cristo è il vincitore che consuma la sua offerta per noi.