di Gianluca Albanese
SIDERNO – Il consiglio comunale di Siderno andava sciolto per infiltrazioni mafiose, ai sensi dell’articolo 143 del Testo Unico degli Enti Locali. E’ quanto si evince dalla lettura della sentenza del Consiglio di Stato (presidente Franco Frattini, consiglieri Giulio Veltri, Paola Alba Aurora Puliatti, Stefania Santoleri, estensore Giulia Ferrari, che nella camera di consiglio del 16 aprile 2020 (svoltasi da remoto in videoconferenza) ha respinto l’appello presentato dagli ex amministratori comunali in carica dal mese di maggio 2015 a quello di agosto 2018, data del Dpr che sancì lo scioglimento del civico consesso sidernese.
Dunque, la decisione originaria viene confermata da tutti i gradi della giustizia amministrativa, e a nulla sono valse le puntuali contestazioni (di fatto e di diritto) presentate dagli ex amministratori per fare mutare un orientamento che, fin dal decreto di scioglimento, è stato decisamente univoco.
Dalla lettura delle 31 pagine della sentenza, pubblicata ieri, emerge come il Consiglio di Stato ritenga, in numerosi passaggi, che diversi provvedimenti adottati dall’allora Giunta Fuda siano stati presi solo dopo l’arrivo della commissione d’accesso agli atti, insediatasi nel mese di ottobre 2017: per esempio la richiesta di interdittive antimafia a ditte esecutrici di lavori pubblici o lo sgombero del centro polifunzionale, solo per citarne alcune.
Insomma, anche secondo il massimo grado della giustizia amministrativa, la sentenza del Tar del Lazio che confermò le ragioni dello scioglimento “Non è dunque- si legge nella sentenza del Consiglio di Stato – viziata, come affermano gli appellanti, per manifesta illogicità, dovendo gli elementi posti a sostegno del provvedimento dissolutorio essere valutati nell’ottica del diritto alla prevenzione cui la misura dell’articolo 143 Tuel, per sua stessa finalità anticipatoria, appartiene e non già secondo il criterio della certezza raggiunta oltre ogni ragionevole dubbio, propria dell’accertamento penale” perché “Ai fini preventivi può bastare, infatti, anche soltanto un atteggiamento di debolezza, omissione di vigilanza e controllo, incapacità di gestione della macchina amministrativa da parte degli organi politici che sia stato idoneo a beneficiare soggetti riconducibili ad ambienti controindicati”.
E’ così la legge in vigore: il consiglio comunale si può sciogliere, anche se i suoi rappresentanti eletti non si sono macchiati di alcun reato (men che meno associativo) o condotte penalmente censurabili. La sentenza specifica altresì che l’attribuzione del potere di scioglimento alla filiera composta da Prefettura, Ministero dell’Interno, Consiglio dei Ministri, Presidente della Repubblica, sarebbe garanzia della ponderazione comparata “tra valori costituzionali parimenti garantiti, quali l’espressione della volontà popolare, da un lato, e dall’altro, la tutela dei principi di libertà, uguaglianza nella partecipazione alla vita civile, nonché di imparzialità, di buon andamento e di regolare svolgimento dell’attività amministrativa, rafforzando le garanzie offerte dall’ordinamento a tutela delle autonomie locali”.
Insomma, l’articolo 143 del Testo Unico degli Enti Locali è questo, almeno fin quando non verrà emendato. Così viene interpretato e così viene applicato dalla giustizia amministrativa.
Quest’ultima considerazione dovrebbe costituire, di per sé, un valido pro memoria per chi andrà a candidarsi alle elezioni comunali in programma il 20 e 21 settembre.
A Siderno e non solo.