di Enzo Romeo
Pordenone sarà la Capitale della Cultura per il 2027. Reggio Calabria non ha superato il rush finale. Era entrata tra le 10 finaliste ma, evidentemente, Pordenone, città peraltro piacevolissima, ha offerto più motivazioni valide per essere alla fine scelta.
Mentre scrivo, arrivano alla mia attenzione molti commenti di disappunto da parte di cittadini reggini, molti di loro intellettuali riconosciuti. Sono abbastanza adulto, per capire che spesso la delusione va metabolizzata, anche attraverso esternazioni risentite o di amarezza. Sempre mentre scrivo arrivano anche dai social commenti di atroce sconfitta. Circola anche un video relativo all’audizione del sindaco Falcomatà davanti alla Commissione ministeriale, che ha il compito di accogliere o bocciare le istanze. Non ho guardato bene, ho piuttosto letto sommariamente qualche commento di rimbrotto verso il primo cittadino e chi ha con lui collaborato per Reggio Capitale della Cultura.
Non contesto l’idea che si potesse fare di più e meglio e ipotizzo pure che non vi sia stato un grandissimo e convintissimo impegno per ottenere il risultato. Ma, guardiamoci in faccia con assoluta onestà e chiediamoci: ma quanto erano, concretamente, le probabilità di incassare da Roma una promozione? Secondo me, erano poche in partenza. Perché Reggio, che ha sicuramente un patrimonio importante di sensibilità culturale ed intellettuale, ha pure tanti problemi irrisolti.
Per essere capitale della cultura devi essere un salotto elegante e a tutti gli effetti. Reggio oggi ha scorci di bellezza ed autenticità, ma ha anche disservizi e contraddizioni. E la colpa non è ascrivibile del tutto a Giuseppe Falcomatà, ma alla classe politica e dirigente che, da destra a sinistra, ha governato (male) per decenni.
I reggini hanno tutti gli strumenti per fare risorgere Reggio. La città si salva o cresce, se ha una comunità che non delega totalmente i (silenti) desiderata all’inquilino di palazzo San Giorgio. Che, peraltro, non è sempre lo stesso.