di Simona Masciaga
Cavalli, quadri che prendono vita, tricolore insanguinato che urla giustizia, libertà e vendetta e che ritorna splendente tra le mani di un’ eroina verdiana diversa dalle altre protagoniste del melodramma tradizionale; ecco il trionfo dell Attila di Verdi, diretto da Riccardo Chailly che come sempre ha saputo cogliere il lato meno conosciuto del Verdi patriottico e risorgimentale
Un vero e proprio kolossal applaudito per ben 15 minuti e che ha incassato oltre due milioni di euro alla presenza di numerose autorità, tra cui il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella applaudito, al suo ingresso per ben 6 minuti.
Una serata dove cultura e musica sono diventate la roccaforte della democrazia, sia per le argomentazioni e i contenuti del dramma che per la modernità dell’ ambientazione: un’ opera classica che trova continuità e adattamento in tutti i tempi e che riesce a far apparire Verdi un musicista più attuale di un rapper del Bronx.
Tratta dalla tragedia “Attila, re degli Unni” di Zacharias Werner, Verdi la musicò nel 1845 su libretto di Temistocle Solera, rivisitato poi da Francesco Maria Piave, il dramma andò in scena per la prima volta il 17 marzo 1846 alla Fenice di Venezia ottenendo un buon successo. Contrariamente a tutte le composizioni verdiane ( questa è la nona su 27 scritte dal maestro), il protagonista, Attila, per l appunto, non è un tenore ma un basso: Verdi volutamente pone il timbro d orchestra al centro dell’ innovazione del linguaggio musicale, dando vita ad un percorso nuovo dove la voce naturale e, non alterata da acrobazie e virtuosismi vocali, diviene la vera protagonista della scena.
Per tempo considerata un’ opera minore, ( le arie sono meno note) poiché messa in ombra dalle ben più famose Traviata, Nabucco, Rigoletto e Aida, il ” flagello di Dio ” distruttore sanguinario, ieri indossava abiti nazisti, con Solera e Piave diventa un personaggio di alta portata etica che riesce a raccontare un popolo e una tradizione straniera. Attila, interpretato egregiamente da Ildar Abdrazakov, è un uomo in crisi, incapace di prendere decisioni sia politiche che sentimentali: un uomo smarrito che pur essendo un prevaricatore viene travolto da mille pensieri e dai sentimenti per Odabella.
Il personaggio femminile, interpretato dalla soprano Saioa Hernandez, ieri nelle vesti di un ebrea, non è la dolce, tenera, remissiva eroina che per amore e buon senso si sottopone alla volontà altrui: Odabella è unica, grintosa, forte, volitiva, intelligente, vendicativa, pianificatrice, capace di mentire pur di raggiungere il proprio scopo, ma intimamente fragile e sensibile poiché rinuncia al vero amore pur di vendicare la morte del padre avvenuta per mano di Attila
Mirabile la scenografia e la regia di Davide Livermore e a dir poco geniale la trovata di far prendere vita al dipinto di Raffaello Sanzio ” l’incontro tra Leone Magno e Attila ” nel primo atto durante il sogno premonitore del tiranno. Il dipinto, un affresco presente in Vaticano nelle Stanze di Eliodoro ( una copia è presente anche a Palazzo Chigi nella stanza delle Galere) è stato fedelmente riprodotto da numerosi coprotagonisti sul palcoscenico ( cavallo bianco compreso) che da una posizione statica, improvvisamente hanno preso vita cantando, muovendosi turbando il sonno di Attila, per poi ritornare alla posizione iniziale. Sei protagonisti e ben 160 coprotagonisti hanno saputo parlare al cuore degli italiani, conquistare Milano all insegna della cultura più elevata, della musica immortale e della democrazia vera.