(fotogallery e Video di Enzo Lacopo)
di Adelina B.Scorda e Emanuela Alvaro
Novecento nomi e altrettante storie quelle racchiuse nelle testimonianze di questa mattina attraverso le parole di Don Ciotti, Debora Cartisano, del vescovo Oliva, e di Daniela Marcone. Un inno alla speranza, in una data non scelta a caso, ma soprattutto in un territorio, in luogo che trasuda vita, storia e bellezza. In una Locride sempre troppo marginale, oggi cittadini, associazioni, famiglie, Chiesa, e la più alta carica istituzionale, sotto i riflettori della stampa, parlano di una Calabria, di una Locride che apre alla speranza, che desidera il cambiamento che non accetta più di essere identificata con la ‘ndrangheta. Oggi parte un messaggio importante che avrà il suo apice nel primo giorno di primavera, martedì 21 marzo, quando nella Locride, da Locri, e in contemporanea in 4mila altri luoghi italiani si vivrà la memoria collettiva, quella viva, attiva che lotta ogni giorno anche per contrastare le bieche ingiustizie quotidiane, per garantire la libertà ad ogni uomo, donna o bambino. E attende il Presidente, Libera, per parlare non solo al Capo dello Stato, come alla più alta carica politica, ma da familiari di vittime di mafia a familiare, lui il fratello di Pier Santi Mattarella assassinato a Palermo il 6 gennaio del1980, che condivide lo stesso dolore che sa, che ha toccato con mano cosa si prova quando la mafia, la ‘ndrangheta la camorra o la corruzione ti porta via una parte di te, della tua famiglia.
“Grazie allora Presidente – con queste parole apre il suo discorso Debora Cartisano – grazie perché la sua presenza porta luce sulle tante storie che ancora chiedono verità e giustizia, la maggior parte in questa terra, siamo convinti che lei più di tutti possa conservare di questo incontro la memoria viva dei nostri cari attraverso la luce dei nostri sguardi, ma soprattutto di essere portavoce di questa nostra domanda di verità e giustizia, Lei come uno di noi”.
Per chi si è visto strappare alla vita un padre, una madre un figlio o un amico, questa non è retorica e lotta per la verità. Non si tratta solo di storie individuali o familiari, sono le storie dei nostri territori che, riunite insieme, raccontano un pezzo di Storia del nostro Paese. “Sono le storie dei nostri cari spesso sconosciuti che abbiamo provato a strappare all’oblio, racconti di lotta, di libertà e di ingiustizie appartenute a persone a cui non è stato permesso di vivere la propria vita”.
Novecento nomi da ricordare, novecento vite, novecento famiglie, novecento sogni, ecco perché è faticoso ricordare per Don Ciotti questo elenco interminabile di nomi, a cui mai si riesce a mettere la parola fine. Donne e uomini uccisi perché hanno detto no, ma non solo perché la mafia uccide non solo chi si oppone, ma chiunque anche per sbaglio intralci il suo cammino. Uomini uccisi da altri uomini che non conoscono né coraggio, né onore, né dignità. “E in un intreccio sempre più fitto – riprende Don Ciotti – si saldano sodalizi fra criminalità organizzata, politica ed economica, perché insieme e più della ‘ndrangheta la corruzione uccide questa terra. Ci sono stati progressi da riconoscere, ma anche misure a contrasto della criminalità organizzata urgenti ritardate o approvate con giochi al ribasso. E il momento di abbandonare le divisioni e lottare insieme per noi e per chi ha sacrificato la proprio vita per la nostra libertà”. Rompere il muro dell’omertà, del lassismo e dell’indifferenza, perché uno contro tutti è nessuno ma insieme ed uniti si fa la differenza, perché le mafie non uccidono solo con la violenza, morte sono tutte quelle persone a cui le mafie tolgono la speranza, quello persone costrette a nascondersi o a guardare da un’altra parte.
Ed eccolo l’ultimo appello di Don Ciotti, forse il più difficile, si chiede un sussulto di coscienza, forse anche un po’ di pietà, verso quelle morti che ancora oggi non hanno un dove, per quelle donne e uomini mai ritrovati “Io sono molto piccolo ma una cosa mi sento di poterla chiedere, diteci almeno dove li avete sepolti”.
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