La normativa italiana in materia di CBD è una strana creatura: in tanti sono convinti di conoscerla bene, ma quando si mettono a confronto le diverse informazioni che circolano in questo campo ci si trova di fronte a una miriade di interpretazioni differenti. E questa confusione è esacerbata dall’influenza delle opinioni di carattere etico che spaccano il pubblico italiano.
Chi è favorevole al libero commercio di prodotti a base di cannabidiolo, come la canapa light acquistabile online disponibile su uno dei maggiori eCommerce del settore, non ha dubbi sul fatto che la normativa italiana permetta la circolazione del CBD.
Chi ritiene questa molecola come una sorta di cavallo di Troia che apre la strada a sostanze psicotrope, però, storce il naso di fronte a considerazioni simili e tende a trovare cavilli interpretativi secondo i quali la compravendita di CBD non è poi così legale come si dice.
Chi ha ragione e qual è lo stato della legislazione sul cannabidiolo in Italia?
Analizzeremo questo tema nel seguente articolo, nel quale ci baseremo anche su quella che è la linea normativa seguita dall’Unione Europea in materia.
La normativa italiana in materia di CBD: una situazione poco chiara
Non è semplice chiarire in modo immediato e univoco la posizione italiana rispetto alla produzione e alla commercializzazione del CBD.
Quando si parla di questa molecola dal punto di vista normativo, solitamente si fa riferimento alla legge n. 242 del 2 dicembre del 2016. Questa fonte di diritto è nota per aver introdotto il concetto di ‘cannabis light’ ed è stata emanata al fine di promuovere e regolamentare la filiera agroindustriale della canapa.
Non scenderemo nel dettaglio di questa norma, ma basti sapere che secondo il suo dettato in Italia è del tutto lecito coltivare e utilizzare questa pianta relativamente a una serie di destinazioni d’uso indicate dalla stessa legge, tra le quali la produzione di:
- fibre per l’industria tessile;
- cosmetici;
- oli;
- prodotti per il florovivaismo;
- materiali per la bonifica e per la fitodepurazione;
- materiali per la bioingegneria e per la bioedilizia.
Tale legge si applica esclusivamente nei confronti delle varietà di canapa indicate in un apposito catalogo redatto dall’Unione Europea e aventi una concentrazione di THC inferiore allo 0,6%.
Il problema è che, tecnicamente, questa norma non disciplina il CBD, ma solo la pianta dalla quale viene estratto.
Di conseguenza, di fronte a un apparente buco legislativo, il CBD in Italia dovrebbe essere disciplinato in base alle regole introdotte dall’Unione Europea che esamineremo nel prossimo paragrafo.
La Corte Europea sostiene la libera commercializzazione del cannabidiolo
Secondo le norme europee, la produzione del CBD è legale quando:
- viene ottenuto dalle varietà di canapa comprese nel catalogo redatto dall’UE al quale abbiamo accennato nel paragrafo precedente;
- è estratto dall’intera pianta nel suo insieme, senza scartarne alcuna parte in favore delle altre;
- è prodotto a partire da esemplari di canapa coltivati all’interno del territorio dell’Unione Europea.
Ma che dire sul suo commercio?
In questo ambito, è importante citare una recente decisione della Corte Europea, il massimo organo di giustizia dell’UE, secondo la quale “uno Stato Membro non può proibire la commercializzazione di cannabidiolo (CBD) legalmente prodotto in un altro Stato Membro qualora estratto dalla pianta di Cannabis sativa nella sua interezza e non soltanto dalle sue fibre e dai suoi semi”.
Come si è arrivati a questa delibera?
Tutto è iniziato in Francia, Paese nel quale la legge consente il commercio del CBD esclusivamente a patto che venga estratto dalle fibre o dai semi della pianta.
Un’azienda transalpina di nome Kanavape, però, ha iniziato a lanciare sul mercato delle cartucce per sigarette elettroniche caricate con liquido contenente CBD ottenuto dall’intera pianta. Questo veniva importato dalla Repubblica Ceca, Paese nel quale l’estrazione del cannabidiolo è consentita senza limiti in relazione alle parti della canapa utilizzate.
Ad ogni modo, la Kanavape è stata accusata di infrangere la legge francese e il caso è stato seguito prima dal tribunale di Marsiglia e poi da quello di Aix-en-Provence. Quest’ultimo, di fronte a una prima condanna degli imputati e alla loro successiva impugnazione della sentenza, ha deciso di richiedere il parere della Corte di Giustizia Europea, in modo da sbrogliare una matassa che si stava facendo sempre più intricata.
La risposta dell’organo dell’UE è stata chiara: come riportato poc’anzi, la circolazione e il commercio di prodotti a base di CBD realizzati nel rispetto delle norme comunitarie non possono essere negate da nessuno Stato membro.
Quindi la circolazione dei prodotti a base di CBD è libera in Italia?
Per quanto detto nel paragrafo precedente, anche in Italia non può essere vietata la commercializzazione di CBD perché una decisione del genere andrebbe contro la decisione della Corte di Giustizia Europea. Fintanto che la sua produzione avviene in linea con le regole dell’UE, la circolazione è libera in tutti gli Stati dell’Unione.
È necessario, però, fare una piccola, ma importante, considerazione: la UE permette ai singoli membri di aggirare il divieto di limitazione alla commercializzazione del cannabidiolo qualora sussistano delle serie ragioni di tutela della salute pubblica.
Queste stesse ragioni, però, devono opportunamente essere supportate da evidenze scientifiche e, poiché attualmente non esistono dati che dimostrino la nocività del CBD, non sembra plausibile che si concretizzi uno scenario simile.
In conclusione
In questo articolo abbiamo illustrato i punti principali relativi alla legislazione sul CBD in Italia e all’interno dell’UE. La decisione della Corte Europea presa in seguito al caso Kanavape costituisce un importante pietra miliare in questo ambito e sembra dimostrare la volontà di proseguire in direzione di una piena libertà alla commercializzazione del cannabidiolo, a condizione che venga ricavato nel rispetto delle norme comunitarie.
Di conseguenza, tutti i Paesi membri, compresa l’Italia, devono astenersi da misure limitative della circolazione di tale prodotto e le tante aziende nostrane del settore, come il noto shop online Justbob, possono liberamente commercializzarlo in modo del tutto legale.