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Home Arte e Cultura

La Locride fra periodo borbonico e decennio francese

29 Gennaio 2014
in Arte e Cultura
Tempo stimato: 7 min per leggerlo
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(foto-servizio di Enzo Lacopo)

LOCRI – “La Calabria e la Locride dal terremoto del 1783 ai primi anni del Decennio francese”, è stato il tema della relazione tenuta dal prof. Vincenzo Cataldo nell’ambito del ciclo di conferenze organizzato dalla Deputazione di Storia Patria per la Calabria. Dopo, il saluto iniziale del presidente della Pro-Loco di Locri Fabio Mammoliti, che ha organizzato l’evento.

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Il presidente della Deputazione  Giuseppe Caridi, ordinario in Storia moderna presso l’Università di Messina, ha tratteggiato in linee generali il passaggio del Regno di Napoli da uno Stato dipendente dalla Spagna a Stato indipendente sotto la Dinastia borbonica. Ha poi messo in evidenza le riforme portate avanti da Carlo di Borbone che dovevano avere nelle sue intenzioni una notevole incidenza di carattere strutturale come il Supremo Magistrato del Commercio e la riforma fiscale.

Vincenzo Cataldo ha collegato gli eventi di carattere nazionali ai fatti locali, iniziando dal terremoto del 1783 che sconvolse la Calabria meridionale. Catastrofe sismica che provocò circa 30 mila morti e che rase al suolo interi paesi.

Il terremoto pose fine, da un punto di vista antropologico, alla cappa di isolamento che aveva avvolto la Calabria fino a quel momento. Il Sovrano Ferdinando IV di Borbone inviò un contingente militare, comandato dal Vicario Generale Francesco Pignatelli e diverse navi pieni di viveri, medicine, tende con chirurghi e ingegneri. Pignatelli promulgava il bando di soppressione degli ordini religiosi e delle corporazioni monastiche con meno di 12 claustrali e la conseguente istituzione della Cassa Sacra. Questo istituto aveva il compito di incamerare i beni degli enti ecclesiastici aboliti, rivenderli a privati e provvedere, col ricavato, alla ricostruzione generale.

Purtroppo questo provvedimento portò anche alla scomparsa di parte degli argenti appartenenti agli enti ecclesiastici soppressi, che furono fatti confluire a Napoli per la trasformazione in moneta da utilizzare per la ricostruzione.

Il governo napoletano inviò, a seguito del Pignatelli, perché studiassero le conseguenze del terremoto, diversi membri dell’Accademia di Scienze e Belle Lettere di Napoli. Lo stato quasi primitivo in cui si trovava la Provincia veniva fatto risalire principalmente al suo isolamento geografico e territoriale. L’antica via Popilia era stata ridotta a mulattiera per il transito dei postali, di qualche avventuriero o per il piccolo commercio e le vie di attraversamento del litorale jonico erano demandati in genere alle imbarcazioni. Inesistenti i ponti sulle due fiumare; nel corso dell’inverno non era quasi possibile collegarsi con gli altri paesi interni.

Le sedute d’asta per la vendita dei terreni confiscasti erano molto laboriose (potevano durare settimane). Quindi anche per partecipare ad un’asta occorreva essere possidenti, poiché serviva un dispendio di tempo e di danaro che non tutti erano in grado di sostenere.

Pochi massari, la borghesia cittadina e di campagna furono coloro che ebbero i benefici dalle operazioni di vendita della Cassa Sacra. Fu con questa che si crearono i presupposti affinché il ceto medio divenisse egemone nello scacchiere del potere, grazie proprio alla frantumazione del patrimonio ecclesiastico.

Nel territorio di Gerace l’ufficio di Cassa Sacra riesce a piazzare sul mercato circa 4.472 ettari di terreno appartenenti ai monasteri di S. Anna, dell’Annunciata, di S. Pantaleone, del convento dei Paolotti e delle cappelle del Santissimo e della Sanità. Terreni che vanno ad incrementare e a consolidare il potere economico delle maggiori casate del territorio.

Intanto dal punto di vista politico anche nella Locride si respirava aria di novità. Anche qui si diffusero i prìncipi sanciti dalla Rivoluzione francese e diversi paesi in misura e in modi diversi, a seconda anche dello stato sociale, furono coinvolti nella nuova esperienza politica che condurrà alla Rivoluzione napoletana del 1799. La Calabria a quei tempi era descritta dal Galanti – un fedele servitore dello Stato (diremmo noi oggi) inviato da Ferdinando IV a relazionare sullo stato sociale ed economico – come una Regione caratterizzata da abusi di varia natura; in cui regnava l’ignoranza, la miseria e il fanatismo; in cui perdurava una giustizia ingiusta e nella quale dominava incontrastato il contrabbando di qualsiasi merce, praticato da tutte le classi sociali, compresi i preti.

Dai documenti chiaramente la partecipazione di molti calabresi della Locride a quelle vicende, alcuni forse spinti dal momento emozionale, altri da autentiche convinzioni politiche maturate nel nuovo clima determinato dalla Rivoluzione francese dieci anni prima. Già fin dal luglio 1796, da quando cioè le truppe francesi riuscirono a riportare significativi successi in Italia e le armate napoletane, pur forti di 30 mila uomini, erano state costrette a firmare l’armistizio di Brescia, considerato che i napoleonici continuavano la loro marcia di conquista dappertutto, il governo borbonico aveva dato avviso a tutti i sindaci di armare persone abili contro i nemici del re e della religione.

Nonostante il forte incitamento e i ripetuti appelli delle autorità centrali e periferiche, dagli atti si capisce che la richiesta di armarsi e di far parte della milizia era stata accolta tiepidamente: c’era chi adduceva mali fisici, chi affermava di non poter partire perché aveva figli piccoli da mantenere e di avere in casa congiunti in età avanzata, chi di aver già prestato servizio militare per tanti anni.

Frequentemente le pretese dello Stato cozzavano con lo stato indigente della popolazione, il cui sostentamento era riposto esclusivamente nelle braccia dei lavoratori. Contadini e artigiani, per quanto possibile, cercavano di evitare l’arruolamento, proprio per potersi dedicare alla cura delle loro famiglie. I braccianti costituivano la categoria sociale più numerosa della popolazione attiva, sottoposta ai lavori più pesanti e la loro presenza era estremamente necessaria alla stessa sopravvivenza del nucleo famigliare. Riguardo al 1799, i documenti notarili confermano che il popolo ricadente in questa fascia costiera partecipò con poco entusiasmo a quegli avvenimenti promossi da entrambe le parti, e quando lo fece fu perché costretto o attratto dal guadagno. Per il ceto basso poco interessava delle idee giacobine e repubblicane, dell’esercito sanfedista e del re, legato com’era ai problemi di sussistenza quotidiana.

La vicenda rivoluzionaria, come ben noto, finì con il ritorno sul trono della stirpe borbonica. Qualche anno dopo, mutato lo scacchiere geopolitico europeo, quando il 14 febbraio 1806 entrarono a Napoli, i francesi immediatamente cercarono di stendere un progetto per la formazione della Guardia Nazionale. Vincenzo Cataldo a questo punto ha parlato del progetto di riforma della giustizia rintracciato presso l’archivio di Parigi ad opera del ministro Michelangelo Cianciulli, noto come promulgatore, in veste di ministro di giustizia, delle leggi eversive sulla feudalità. L’obiettivo dei francesi era quello di sostituire il vecchio sistema giudiziario in cui ancora i feudatari avevano voce in capitolo con un sistema più moderno e sostituendo la sequela di leggi con un corpus legislativo più snello ed efficace.

Era necessario a questo punto dotare la nazione napoletana di una costituzione. Su questo punto il prof. Cataldo ha commentato una lettera inedita, scritta dal vicario capitolare di Gerace mons. Reginaldo Longo al ministro segretario di Stato Giuseppe Ricciardi nel 1808.

Nella Cattedrale di Gerace presente tutto il clero della diocesi fu letta la costituzione ad una folla immensa assiepata dappertutto. La funzione liturgica fu celebrata con l’esecuzione di brani del celebre musicista Giovanni Paisiello.

Con questa relazione il prof. Cataldo ha inteso ricostruire una fase cruciale del territorio caratterizzata dall’aspirazioni da parte delle forze più “progressiste”, diremmo noi oggi, a riformare uno Stato dominato da leggi obsolete ed inefficaci. Poi la Rivoluzione giacobina del 1799, tentativo soffocato nel sangue di dare un governo più democratico ispirato ai principio della Rivoluzione francese finché nel 1806 con l’arrivo dei francesi la feudalità viene dal punto di vista legislativo abolita.

DI SEGUITO IL VIDEO DELLA CONFERENZA 

(video di Enzo Lacopo)

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