L’operazione “Saggezza”, condotta dal Comando provinciale dei carabinieri sotto le direttive della DDA di Reggio Calabria, è servita a scrivere un altro volume della storia criminale della ‘ndrangheta. Un’organizzazione piramidale denominata “Corona”, basata sull’ assegnazione di “cariche” e di funzioni specifiche, era nata con lo scopo di raggruppare le ‘ndrine dei centri meno importanti della Locride per dare loro, così riunite, un peso maggiore di quanto non ne avrebbero avuto da isolate nei rapporti con le cosche più forti dei paesi limitrofi di Locri, Siderno, Marina di Gioiosa Jonica, Bovalino e S. Luca. Al vertice dell’organizzazione Vincenzo Melia, uomo d’onore d’altri tempi carismatico al punto giusto per ricoprire il ruolo di comando. Nella “Corona”, che include i “locali” di Antonimina, Ardore, Canolo Ciminà e Cirella di Platì, ruolo strategico ricoprirebbe la cittadina delle Terme, famosa per lo stabilimento di località Bagni intorno a cui ruotano parecchie attività economiche. Ma l’attenzione degli inquirenti si è concentrata sul piccolo centro anche per altre attività particolarmente “fiorenti” legate allo sfruttamento delle risorse boschive, alla lavorazione degli inerti ed alla produzione di calcestruzzi. Secondo gli investigatori, nel quadro della criminalità organizzata di stampo mafioso notoriamente diffusa nei comuni della fascia jonica della provincia di Reggio Calabria, figura a pieno titolo anche il comune di Antonimina insieme a Gerace, Portigliola, Canolo, Sant’ Ilario dello Jonio, Ardore, Ciminà e Cirella di Platì. Piccoli centri, ma abbastanza strategici da un punto di vista criminale, in quanto al loro interno opererebbero diversi personaggi affìliati alla ‘ndrangheta. E’ di Antonimina Nicola Romano, che nell’organizzazione a delinquere smascherata dai carabinieri rivestirebbe l’incarico di “capo consigliere”. Un ruolo di comando il suo, che viene continuamente rimarcato nell’informativa degli uomini dell’arma. Ad Antonimina, però, risiede anche Giuseppe Raso, “capo locale”del territorio di Canolo. Quest’ultimo, individuato quale soggetto di alto interesse investigativo per la sua notoria appartenenza ad una delle famiglie storiche della ‘ndrangheta e per i vincoli di parentela ai Gullace e agli Albanese di Cittanova, si era messo negativamente in luce quale elemento di disturbo all’interno dell’associazione. Infatti aveva rischiato di destabilizzare l’ambiente e rompere gli equilibri esistenti con il suo atteggiamento di sfida nei confronti di Nicola Romano, all’interno del “locale” Antonimina, diverso da quello di competenza, ma nel quale risiedeva con la propria famiglia. Ciò aveva suscitato il rammarico di Vincenzo Melia per aver clamorosamente sbagliato nella valutazione del soggetto che si era dimostrato inaffidabile e poco rispettoso delle “regole d’onore”.Le incomprensioni tra il Raso e il Romano si acuiscono a causa della gestione del taglio boschivo. Nicola Romano, infatti, aveva parecchi interessi nel settore, essendo gestore di diverse attività imprenditoriali intestate ai suoi familiari tra le quali “La Radica” di Fazzari Teresa, “Le vie del legno” di Polifrone Carmine e la “Due monti legnami”.Per gli investigatori appariva palese che Giuseppe Raso stesse tentando di imporre il proprio peso criminale sul territorio di Antonimina, raccogliendo a sé i “Santi Nicolari”, gli abitanti della frazione ove risiedeva, e stesse così screditando l’immagine di Nicola Romano creando non pochi problemi all’interno dell’organizzazione. In questo contesto si inseriscono gli atti estorsivi ai danni dell’imprenditore Giuseppe Ligato che hanno dato l’input alle indagini dei carabinieri.
Antonella Scabellone