di Gianluca Albanese
Atmosfere notturne e solitarie, speranze sussurrate all’Altissimo. Archi, bandoneon ed echi di voci acute a colmare l’essenzialità di una chitarra arpeggiata per l’ultima ballad di Fabio Macagnino. “Preghiera i l’amanti”, il cui titolo sembra rimandare al desiderio di resipiscenza e perdono di chi indulge all’infedeltà, è in realtà l’invocazione intimista di chi prega per trovare le parole giuste per fare innamorare «lei che dorme e non sa che ci sei, lei che forse non la sentirai mai».
E il cantautore di Focà, quando ci si mette, sa essere così: malinconico e stilnovista, con la melodia delicata che evoca la penombra di una stanza solitaria più che un canto alla luna di una notte estiva. Una sorta di crasi stilistica tra l’apertura e il crescendo di “Canzuni duci” e le illusioni notturne infrante al risveglio di “Lu servu e la regina”, quantomeno nel finale del brano, in cui la voce della razionalità, a cui il corteggiatore non intende rassegnarsi, gli sussurra che «chista figghjiola è megghjiu pemm’u t’a scordi».
Insomma, torna il Macagnino più romantico e riflessivo, dopo la sbornia del terzinato “hard” dell’ultimo album “Sangu”.
In uscita in digitale e in radio a partire dal 15 dicembre, prodotto da Sveva edizioni con la direzione artistica di Mujura e la partecipazione di musicisti del calibro di Andrea Simonetta, Giovanni Curinga, Giuseppe Gualtieri, Marcello Giannini e Guido Maria Grillo.