di Gianluca Albanese
SIDERNO – 27 soggetti sottoposti a Fermo d’indiziato di delitto; 46 indagati e innumerevoli aziende e beni immobili sequestrati. E’ il risultato della complessa operazione investigativa condotta dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria (in particolare dai sostituti procuratori Francesco Tedesco e Stefano Musolino, dal procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo e dal procuratore vicario Calogero Gaetano Paci) in coordinamento con l’analoga struttura di Firenze diretta dal locrese Ettore Squillace Greco, eseguita dal comando provinciale della Guardia di Finanza di Reggio Calabria e denominata “Martingala”.
Di seguito l’elenco completo dei soggetti sottoposti a fermo d’indiziato di delitto, nell’ambito del complesso sistema che ruotava attorno a due figure fondamentali, ovvero Antonino Mordà e Antonio Scimone, la cui attività supportava, secondo le risultanze investigative, numerose consorterie criminali di tutta la provincia reggina.
1) ARCONTE Pierfrancesco;
2) ARGIRÒ Roberto Simone;
3) BARBITTA Tindaro Giulio;
4) BARRILÀ Pasquale;
5) BRIZZI Domenico;
6) CANALE Pietro;
7) CANGEMI Domenico;
8) CARIDI Carmelo;
9) CHIRICO Antonino Carlo;
10) CHIRICO Teresa;
11) CROCÈ Pietrangelo;
12) D’AGOSTINO Domenico;
13) GALLO Domenico;
14) LIZZI Antonio;
15) MOLLICA Maria;
16) MORABITO Giorgio;
17) MORDÀ Antonino;
18) MORDÀ Domenico (classe 1942);
19) NICITA Antonio;
20) NIRTA Bruno;
21) NIRTA Giuseppe;
22) PISANO Daniele;
23) PULITANÒ Giuseppe (classe 1973);
24) PULITANÒ Giuseppe (classe 1988);
25) RONDÒ Ferdinando;
26) SCIMONE Antonio;
27) SCIMONE Francescoattilio.
«Il tema di prova connesso alle modalità di infiltrazione di settori economici ed, attraverso questa, di riciclaggio e reimpiego dei proventi di attività delittuose della ndrangheta, è stato – si legge nel decreto di fermo – spesso oggetto di indagini sociologiche o criminologiche, ma più raramente ha costituito il focus di un indagine penale.
Se sono, infatti, note le straordinarie capacità della ndrangheta di produrre ricchezze illecite, meno certi sono i sistemi attraverso cui questi profitti sono reimmessi nei circuiti economici leciti. Ma proprio la conoscenza di questi metodi costituisce uno dei punti di snodo, per comprendere le complessive dinamiche criminali dell’organizzazione, alzando lo sguardo oltre la sua porzione militare, dedita a garantire l’intimidazione generante assoggettamento ed omertà diffusi, per addentrarsi nei complessi meandri relazionali ed economici, attraverso cui l’associazione mette a frutto l’opera della sua parte più aggressiva e violenta, infiltrandosi nei sistemi economici ed imprenditoriali. Soprattutto nei periodi di crisi, qual è l’attuale, infatti, l’infiltrazione della ndrangheta in tali sistemi si fa più perniciosa ed inquietante, atteso come la capacità dell’organizzazione di generare ricchezze illecite non conosca flessione, sicchè sempre notevoli sono i flussi monetari che è capace di fornire a mercati bisognosi di liquidità.
Nel presente procedimento, l’accertamento si è concentrato proprio sui profili associativi funzionali all’infiltrazione economica ed al riciclaggio, svelando alcuni dei sofisticati sistemi utilizzati a tale scopo dalla ndrangheta.
Due sono i personaggi principali intorno ai quali ruota l’indagine: Antonino Mordà ed Antonio Scimone.
L’investigazione, infatti, ha mosso i suoi primi passi, con lo scopo di comprendere l’anomala capacità del Mordà di gestire importanti flussi finanziari. Un siffatto dato emergeva da plurime investigazioni penali in cui la sua figura compariva a margine di più ampie vicende oggetto di ciascuno, specifico procedimento. Ma quel ruolo apparentemente marginale se oggetto di lettura frammentata, perché limitata ai risultati di ciascun singolo procedimento, assumeva pregnanza di significato, assecondando un’interpretazione complessiva dei dati così emergenti che giustificavano l’avvio di un’indagine a suo carico.
I successivi sviluppi di questa evidenziavano come il Mordà gestisse – di fatto – plurime imprese, impegnate nel commercio al dettaglio di svariate tipologie merceologiche, ed ampiamente diffuse sul territorio reggino, benchè le quote sociali ed i ruoli amministrativi fossero formalmente intestati a compiacenti fiduciari. In particolare si segnalano le seguenti società: Mordà Elettronica S.r.l., Mordà Elettronica 2 S.r.l., Mordà Elettronica Bianco S.r.l., Pical S.a.s. di Pulitanò G. & co., Ponte Livorno Immobiliare S.r.l., Mado Milano Immobiliare S.r.l., CA.DA.MO.PA. S.r.l., C.M. Service S.r.l. Unipersonale, Maspec Service S.r.l., Tassone 1875 S.r.l.. Tra le citate imprese spiccano quelle che – per come si intuisce già dalla denominazione sociale – erano impegnate nel settore merceologico della vendita al dettaglio di materiale elettronico ed informatico. Orbene, le indagini accertavano come, nei flussi economici delle stesse, apparentemente riferibili all’attività commerciale, confluissero imponenti volumi finanziari di origine illecita.
Nel citato contesto investigativo, si accertavano, anche, le sinergie criminali che legavano il Mordà ad un imprenditore originario della provincia ionica reggina: Antonio Scimone.
Quest’ultimo (insieme a relazioni di affinità con la famiglia Mollica) vantava sinergie imprenditoriali con esponenti di spicco delle famiglie Barbaro e Nirta ed era al centro di un complesso reticolo di imprese allocate sul territorio nazionale ed europeo, attraverso le quali gestiva l’emissione e l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti che, nelle relazioni imprenditoriali internazionali, assumevano le caratteristiche tipiche delle cd. frodi carosello. Ma le indagini accertavano come tali operazioni oltre ad essere funzionali alla consumazione di frodi fiscali, avessero – spesso – quale precipuo scopo quello di garantire il riciclaggio ed il reimpiego d’imponenti flussi finanziari, provenienti da imprenditori espressione dell’infiltrazione economica della ndrangheta. A tale scopo era costituita un’organizzata e stabile struttura di persone fisiche ed un sofisticato sistema di persone giuridica, funzionale a gestire i flussi finanziari illeciti che erano schermati da documenti fiscali e contabili falsi che riverberavano ulteriori effetti frodatori tributari. Si accertava, perciò, come l’associazione capeggiata dallo Scimone fosse percepita alla stregua di una società fornitrice di servizi a scopi criminali, da una pletora di imprenditori. Inoltre, emergeva come il gruppo criminale adoperasse, in maniera eccentrica rispetto allo scopo economico e giuridico tipico, il contratto di joint venture (ma anche più ortodossi contratti di nolo a freddo) sia quale strumento di finanziamento di imprese coinvolte in attività edilizie, sia quale strumento capace di giustificare movimenti finanziari in uscita dalle società impegnate in rilevanti attività edilizie. A valle di tali operazioni si registravano, poi, condotte di esercizio abusivo dell’attività finanziaria e di usura che travalicavano i confini regionali, rendendo necessaria una proficua attività di coordinamento investigativo con la Procura DDA presso il Tribunale di Firenze.
Insomma, quello ideato e gestito dallo Scimone attraverso le imprese nazionali ed estere a lui riferibili, era un vero e proprio sistema illecito che, pur essendo più strettamente legato agli interessi economici ed imprenditoriali delle famiglie Nirta e Barbaro, era utilizzato anche da altri imprenditori della locale provincia, molti dei quali espressione della ndrangheta o contigui a questa. L’efficienza dei servizi illeciti garantiti dallo Scimone e dai suoi sodali, infatti, aveva indotto a servirsene anche altri imprenditori bisognosi di “sistemare” le proprie partite fiscali o di giustificare l’allocazione o il rientro dall’estero di patrimoni illeciti».
Questo il nucleo operativo dell’associazione:
«La gestione di un numero così complesso ed articolato di dinamiche economico-finanziarie – riporta il decreto di fermo – per un apprezzabile periodo di tempo, imponeva la creazione di una struttura organizzativa che, in via di prima approssimazione, può essere rappresentata sinteticamente per come segue.
Pulitanò Giuseppe e Rondò Ferdinando sono stati individuati quali formali intestatari di quote o svolgenti il ruolo di apparenti amministratori di società di diritto nazionale ed estero, utilizzate per le finalità proprie del citato sistema criminale. Gli stessi operavano sotto le indicazioni operative fornite dallo Scimone, curando anche il monitoraggio e la movimentazione di numerosi conti correnti aziendali, nonché la materiale redazione dei documenti fiscali e di trasporto, correlati alle artificiose transazioni commerciali.
Un ruolo organizzativo-dirigenziale, benchè subordinato a quello dello Scimone, lo svolgeva Nirta Giuseppe, storico fiduciario dello Scimone, al punto da risultare liquidatore di due imprese: la Scimone S.r.l. e la FIN.EDIL S.r.l., con cui lo Scimone aveva operato negli anni passati.
E’ emerso, infatti, che il Nirta condividesse con lo Scimone strategie e profitti derivanti dal sistema delittuoso, sebbene spettasse a quest’ultimo la gestione finale delle operazioni, anche in funzione di controllo della perfetta coerenza contabile e giuridica, nonché della non eccepibilità formale, dell’intricato reticolo di transazioni documentate falsamente, benchè corrispondenti a reali flussi economici. Le indagini hanno, invece, accertato un ruolo sostanzialmente paritario, in termini di autorevolezza criminale, tra lo Scimone ed il padre di Nirta Giuseppe: Bruno. Il figlio di questi, infatti, era una sorta di rappresentante del padre nell’ambito delle dinamiche connesse alla fittizie transazioni nazionali ed internazionali, mentre Nirta Bruno interveniva direttamente nella gestione delle attività di esercizio abusivo dell’attività finanziaria che costituiva uno degli sbocchi per il reinvestimento dei profitti, maturati dal sistema criminale investigato.
Come già evidenziato, infine, Barbaro Antonio era coinvolto in plurime attività delittuose, gestite dal sodalizio criminale; sicchè; pur non avendo un ruolo operativo stabile nel citato assetto organizzativo ordinario dell’associazione, ne era parte integrante alla luce della reiterata condivisione di scopi, di metodi e di profitti con gli altri associati. In particolare, in tali circostanze, il Barbaro palesava una riconosciuta autorevolezza criminale che gli faceva assumere un ruolo sostanzialmente paritario a quello dello Scimone nella gestione di tali dinamiche. Il Barbaro, infatti, non si limitava a sfruttare l’organizzazione criminale, governata dallo Scimone, con il supporto dei Nirta, per gli interessi propri delle sue imprese, ma partecipava alla gestione di plurime attività delittuose (specie quelle connesse alle relazioni con le imprese aggiudicatarie di appalti pubblici), alla stregua di una vero e proprio dirigente dell’associazione.
Così definita la cornice soggettiva dell’organizzazione, è tempo di approfondire ancora di più il dettaglio probatorio, per dare conto delle principali concrete modalità delittuose, attraverso le quali l’organizzazione prosperava. Come già accennato, si tratta di specifici episodi che, però, sono espressione paradigmatica – per il contesto dinamico e relazionale in cui sono stati accertati – di uno schema operativo sistematico e, perciò, tendenzialmente ripetitivo.
Come già accennato, infatti, l’associazione criminale capeggiata dallo Scimone si proponeva ed era percepita sul mercato, alla stregua di un’impresa fornitrice di servizi illeciti, connessi alla gestione di flussi economici ed alla predisposizione di documentazione fiscale a scopo fraudolento (numerosi sono i dialoghi in cui lo Scimone esaltava la qualità del metodo criminale adottato, che aveva dimostrato di potere eludere i controlli effettuati in sede di verifica fiscale da personale della GdF). Orbene, tra i momenti essenziali della metodologia delittuosa che caratterizzava l’operatività dell’organizzazione vi erano, come già riferito, la predisposizione di CMR e fatture falsi, perché riferibili a movimenti merci ed transazioni economiche inesistenti.
Si riportano, perciò, taluni specifici episodi in cui è stata accertata siffatta falsità, prendendo le mosse dai CMR. Va, subito, evidenziato come, dal contesto dei dialoghi e dalle modalità relazionali correnti tra i soggetti monitorati (quest’ultimo dato emergerà ancora più pregnante in seguito), ben si intende come quelli accertati non siano affatto episodi isolati, frutto di una particolare contingenza, ma piuttosto espressione sintomatica di un modus operandi sistematico e ripetitivo».
Tra l’altro, risultava il ruolo dirigenziale svolto dal platiese Barbaro Antonio
«Gli elementi di prova appena passati in rassegna – si legge nel decreto di fermo – confermano, poi, un’ulteriore circostanza che caratterizza tipicamente l’operatività dell’associazione a delinquere investigata: quella di sviluppare e proporre i propri servizi criminali a soggetti ed imprese gravitanti nell’ambito dell’imprenditoria edile. Questa, per come emerge dalle molteplici indagini svolte in questo distretto, è fortemente segnata dall’infiltrazione della ndrangheta, specie quando il sotto-settore d’elezione è quello degli appalti pubblici. Non è un caso, allora, che anche Nirta Buno fosse impegnato nella concreta gestione di aziende, sia pure intestate a familiari, operative nel settore; così come si è già accennato in ordine ai servizi prestati dallo Scimone a favore dei Bagalà o del duo Surace-Giordano (anch’essi storici imprenditori edili della città di Reggio Calabria).
Non sorprenderà, dunque, come un altro sodale, con ruoli dirigenziali dell’associazione a delinquere investigata sia un altro imprenditore edile, il già noto: Barbaro Antonio.
Il rapporto tra lo Scimone e quest’ultimo, infatti, è contrassegnato da evidenti, stabili co-interessenze criminali, al punto che, anche nelle occasioni in cui le imprese del Barbaro o quelle da questi sponsorizzate, beneficiavano dei servizi resi dal sistema d’imprese cartolari governato operativamente dallo Scimone, il Barbaro si rivolgeva a quest’ultimo non già chiedendo di potere conseguire la prestazione attesa, ma pretendendola alla stregua di un soggetto che vantava una disponibilità del sistema criminale, paritetica a quella dello Scimone. In relazione, invece, alle già accennate dinamiche connesse all’utilizzo strumentale dei fittizi contratti di joint venture e di nolo a freddo per drenare risorse da imprese coinvolte in appalti pubblici (talvolta anche a tassi usurai), partecipando occultamente alla spartizione degli utili, il Barbaro palesava un ruolo di determinatore finale delle scelte, a fronte delle proposte avanzate dallo Scimone. In tale frangente operativo dell’associazione criminale, dunque, il rapporto si caratterizzava per la schietta direzione operativa del Barbaro, a fronte di un ruolo di solidale “expertise” svolto dallo Scimone. E trattandosi di una delle principali forme di reimpiego dei proventi derivanti dalle attività illecite, gestite dall’associazione, attraverso il sistema di società cartiere sopra descritto, è evidente come siffatto comportamento del Barbaro sia sintomatico del suo ruolo dirigenziale nel contesto associativo investigato, che giustifica le modalità paritetiche con cui egli si relazionava con lo Scimone, allorché erano le imprese del primo a dovere beneficiare del suddetto sistema.
Ma, come appena accennato, la compartecipazione dirigenziale di Barbaro Antonio all’associazione a delinquere – benchè più carismatica e ricca di profili d’interesse legati all’infiltrazione degli interessi della cosca di ndrangheta da lui rappresentata nel settore degli appalti pubblici, in ordine ai sistemi di finanziamento di imprese edili – poteva essere apprezzata anche in ordine alle dinamiche connesse al governo dei flussi finanziari ed all’emissione di documenti fiscali falsi che rappresenta il cuore del metodo criminale attraverso cui operava l’associazione a delinquere investigata».
«E’ evidente» «come la relazione di solidarietà dirigenziale tra Scimone Antonio e Barbaro Antonio (con la compartecipazione organizzativa anche di Scimone Francescoattilio, fratello del primo) comprendesse le intere attività dell’associazione criminale, incluse quelle in cui più immediatamente percepibili ed anzi manifesti erano gli interessi riferibili ai Nirta. Ed infatti, nei dialoghi del 14.7.2015 sopra citati Scimone e Barbaro mostravano di gestire in comune sia le fatturazioni relative alla Master Trade S.r.l., interamente partecipata e formalmente amministrata da Nirta Giuseppe, sia quelle riferibili alla Italian Job S.r.l. (le cui quote sociali erano detenute all’80% dallo Scimone ed al 20% da Pulitanò Giuseppe). Non solo, ma emergeva anche come il citato metodo operativo non fosse solo funzionale alla consumazione di reati fiscali e di reati connessi al riciclaggio dei proventi di attività delittuose, atteso come l’emissione di fatture per operazioni inesistenti fosse collegata al finanziamento abusivo di svariate imprese coinvolte nell’esecuzione di appalti pubblici.
Ma non solo.
L’approfondimento delle citate emergenze consentiva di accertare che il sodalizio criminale si avvalesse anche delle prestazioni solidali di due abituali clienti del circuito finanziario abusivo, con cui erano riciclati i proventi derivanti dalla fornitura di servizi delittuosi da parte dell’associazione a delinquere. Si tratta degli imprenditori Brizzi Domenico e Lizzi Antonio che si prestavano a svolgere, stabilmente e continuativamente, il ruolo di intermediari e collettori delle necessità finanziarie di altri imprenditori, impegnati nel settore edilizio della provincia Jonica reggina, facendosene latori presso i fratelli Scimone, Barbaro Antonio o i Nirta che, attraverso loro, implementavano ulteriormente la loro già vasta clientela».
Fin qui gli stralci delle 833 pagine del decreto di fermo.
Non sfugge all’occhio del cronista, la vicinanza di alcuni dei fermati con personalità del mondo politico locale e regionale.
L’imprenditore Domenico Brizzi, infatti, risulta essere fratello di Pasquale, sindaco di Sant’Ilario dello Ionio, mentre Antonio Nicita erroneamente citato in precedenza come cugino del capogruppo del Pd in consiglio regionale Sebi Romeo, (che secondo un articolo della testata on line www.iacchite.com – riportato nelle note esplicative del decreto di fermo – lo avrebbe “imposto” come Responsabile del distretto di Bovalino di Calabria Verde) non ha alcun legame di parentela con Romeo, come lo stesso ha avuto modo di chiarire con la nostra redazione. Risulta curioso, comunque, come un articolo sul quale risulta esserci un procedimento penale in corso, sia stato acquisito agli atti dell’operazione “Martingala”.
Ma tant’è.
Sebi Romeo viene citato nel decreto di fermo a pagina 182, laddove è scritto che lo stesso «E’ stato controllato in data 31.08.2006 con Nicita Antonio, persona che, per quanto più avanti si dirà, è in stretti rapporti di “affari” con Antonio Scimone».
Dalla lettura delle pagine del decreto di fermo, poi, si evince l’interesse del cosiddetto “Sistema Scimone” negli investimenti nella vecchia società della Reggina Calcio.