di Vincenzo Tavernese *
Il dibattito sull’attualità del socialismo animato da Franco Crinò su Lentelocale.it è sorprendente da molti punti di vista: non tanto per la partecipazione e lo spessore degli interventi (attesi, data l’autorevolezza di chi ha lanciato il tema), quanto per il numero di questioni poste e per la profondità con cui sono state declinate di volta in volta negli interventi.Credo che sia utile esprimere anche il mio modesto punto di vista, benché parli “da destra”, oltre che per il merito di quello che ritengo di dire, anche perché nella mia esperienza culturale e politica ho coltivato un intenso, costante e spesso proficuo dialogo con moltissimi uomini e donne socialisti, per storia e per formazione, quando non più per appartenenza. Spesso mi sono chiesto il perché di questa profonda compatibilità di linguaggio (talora perfino nella grande distanza delle idee) che spesso genera anche simpatia personale ed ho trovato la risposta proprio nella storia e nelle vicissitudini del Partito Socialista Italiano. Un partito che ha costruito la propria identità politica nel dopoguerra sull’autonomia (certamente da Mosca e dal PCI, ma più in genere facendone un ideale), sul riformismo e sulle garanzie per le classi svantaggiate. Per non parlare poi della cultura delle garanzie in ambito giudiziario che sono patrimonio della famiglia socialista non certo dai tempi di Mani Pulite, ma sin dalla nascita dei primi nuclei clandestini di militanti nella seconda metà dell’Ottocento. In molte di queste idee posso dire di riconoscermi, pur con accenti diversi da quelli del socialismo storico. In particolare, nell’intervenire in questo dibattito vorrei concentrarmi sul riformismo e sulle riforme (argomento quanto mai attuale dopo l’ultimo Consiglio Europeo): i termini “riformismo” e “riforme” sono ormai logori e soprattutto snaturati da un uso non congruo con la loro storia.Trovo infatti che la confusione tra il riformismo socialista e le riforme invocate dal Fondo Monetario Internazionale, dall’OCSE o dall’Unione Europea sia veramente orrenda e sacrilega: queste ultime, infatti, ovunque sono state attuate, hanno alimentato diseguaglianze e disparità sociali in alcuni casi fino all’aumento degli indici di povertà e di mortalità infantile. Il riformismo socialista è ben altra cosa, anzi è esattamente l’opposto, avendo come scopo principale quello di ridurre l’antagonismo sociale tra classi (termine, ahimè, desueto), colmando i divari economici troppo ampi e dando pari opportunità nell’istruzione, nell’assistenza sanitaria, nel riconoscimento di diritti collegati al lavoro. Purtroppo l’equivoco sulle parole ha ingannato e continua a ingannare molti: anche l’essere pragmatici e “decisionisti”, come volle essere Craxi, non dovrebbe significare il sacrificio dei principi alla vuota retorica delle riforme. Anche in questo caso ci soccorre la storia: nel 1921 il socialismo e il comunismo in Italia presero sentieri diversi per la prima volta proprio quando Lenin pretese, per l’adesione alla sua nuova Internazionale del Partito Socialista Italiano, la cacciata dei moderati e dei riformisti, accusati di essere manutengoli dei borghesi; eppure proprio i riformisti di allora avevano intuito che esasperare le tensioni sociali in vista di una rivoluzione impossibile avrebbe portato a una catastrofe certa, puntualmente avvenuta con l’avvento del Fascismo. Ai tempi di Lenin i socialisti riformisti erano esplicitamente messi al bando, oggi sono “infiltrati” da elementi ultraliberisti, spesso distratti dall’appello a parole d’ordine pseudo-umanitarie e fintamente pacifiche, gabbati, umiliati, ma il risultato è analogo. Le riforme perorate oggi dagli organismi internazionali e accompagnate da una impressionante grancassa mediatica, puntualmente ispirate al più dogmatico e assertorio spirito di finto liberismo, al contrario di quelle desiderate da Turati e da Matteotti, provocano povertà, disagio, risentimento, e finiranno per barattare il miraggio di una crescita economica, sempre di là da venire, con un’altra catastrofe: la diffusione di guerre, regimi autoritari e comunque la limitazione delle libertà sono tra le eventualità più probabili. Da uomo di destra che non crede nella guerra come sola igiene del mondo, anzi la aborre, e tanto meno vede nell’autoritarismo una soluzione alla progressiva perdita di autorevolezza e alla crisi di legittimità dei governi occidentali, penso di poter trovare nei socialisti di ieri che seppero essere internazionalisti, senza essere apolidi, e fautori di profondi cambiamenti politici ed economici, senza essere corifei della violenza organizzata, utili spunti di riflessione per la mia azione politica, così come credo di trovare nei socialisti di oggi e di domani interlocutori attenti e avversari leali. Per tutte queste ragioni, spero che l’appello di Crinò e di molti altri intervenuti in questo dibattito sia raccolto, condiviso e tradotto in pratica azione politica nel prossimo futuro da tanti uomini e donne che per temperamento e cultura sono stati e sono socialisti, ma che oggi non riescono a dare corpo ad un’agenda comune, riformista nel senso pieno e soprattutto socialista del termine.
*: vicesindaco di Marina di Gioiosa Ionica