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Pasqua 2013, il messaggio augurale del Vescovo Morosini

30 Marzo 2013
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RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO IL MESSAGGIO INDIRIZZATO AI FEDELI DELLA DIOCESI LOCRI-GERACE  IN OCCASIONE DELLA SANTA PASQUA DAL VESCOVO GIUSEPPE FIORINI MOROSINI

“NELLA RISURREZIONE DI GESU’ TUTTO IL MALE E’ SCONFITTO”

Noi siamo abituati a pensare alla Pasqua come all’evento della risurrezione di Gesù e conseguentemente alla speranza della nostra risurrezione futura (1Cor 15, 12-19). Ma è tutta qui la fede pasquale?

Se leggiamo alcuni passi delle Lettere di S. Paolo (Rm 8, 18-30; 1Cor 15) ci accorgiamo che la fede pasquale è qualcosa, che parte dalla risurrezione di Gesù e nostra, ma allarga il suo orizzonte sino a diventare un modo come relazionarsi alla vita e al mondo che ci circonda. L’Apostolo parla di un riscatto generale di tutta la creazione, che verrà liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio (Rm 8, 21); e ci presenta il Risorto come colui che deve regnare finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte (1Cor 15, 25-26).

La fede pasquale è allora fede nella possibilità di un riscatto generale di ogni forma di male, di ogni contraddizione esistente nel mondo, di ogni ingiustizia, di ogni sopraffazione, di ogni violenza. C’è un’attesa generale di liberazione, una speranza di rinnovamento che non è solo dell’uomo, ma è cosmica. Quella terra contaminata dal peccato dell’uomo, e maledetta da Dio per causa dell’uomo, che produce spine e cardi (Gn 3, 17-19), attende di ritornare come era, il giardino di Eden (Gn 2, 15).

Ma che cosa sono le spine e i cardi? Tutto ciò che non è favorevole all’uomo; tutto ciò che gli impedisce di essere felice, di vivere nell’armonia, in pace con se stesso e con gli altri, in dialogo contemplativo con la natura. Tutto ciò che è male per l’uomo sono le spine e i cardi che lo fanno soffrire: dai mali fisici a quelli morali, dai mali naturali a quelli provocati da lui stesso facendo violenza alla natura. Tutta questa realtà di male attende di essere redenta, attende la sua Pasqua di risurrezione. Attende, perché la vittoria sul male non è mai definitiva, ma è sempre un compito per l’uomo, un progetto da compiere, una speranza da realizzare. Vinto da un uomo, il male si propone in un altro uomo; sconfitto in una fase della storia degli uomini, si presenta mostruoso in un’altra fase. E ciò in un divenire costante, sino alla fine della storia umana, quando Cristo presenterà al Padre il mondo finalmente redento.

C’è un testo di S. Paolo che occorre meditare bene: La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità – non per suo volere, ma per volere di colui che l’ha sottomessa – e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Poiché nella speranza noi siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se visto, non è più speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe ancora sperarlo? Ma se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza (Rm 8, 19-25). Che cosa vuol dire gemere, se non questa attesa e speranza di redenzione che procede lentamente e non è mai definitiva?

Non riusciremo ad accogliere veramente l’annunzio della Pasqua, se non comprenderemo bene questa annotazione dell’Apostolo. Sì, perché lo abbiamo già osservato, il messaggio di Pasqua è un invito ad assumere un atteggiamento, a fare una scelta di vita nei confronti di tutto ciò che ci circonda, perché sia liberato dalla schiavitù della corruzione. Questo è in un certo senso l’adozione a figli per cui anche noi gemiamo e soffriamo finché non si compia; infatti, la nostra salvezza è oggetto di speranza; non è mai definitiva, fino a quando camminiamo nel corpo (2Cor 5, 6-9).

Nasce così la testimonianza pasquale. Nel racconto dei Vangeli alla costatazione della risurrezione si associa sempre l’invio per l’annunzio. Secondo Matteo e Marco Gesù dice alle donne: Andate a dire ai discepoli… (Mt 28, 7; Mc 16, 7). In S. Giovanni Gesù dice a Maria di Magdala: Va’ dai miei fratelli (Gv 20, 17). I discepoli di Emmaus, dopo aver riconosciuto Gesù, sentono il dovere di ritornare indietro per annunziarlo ai fratelli (Mc 16, 12-13; Lc 24, 13-35).

La fede pasquale è anche per noi annuncio di liberazione, nel senso che bisogna dimostrare con il nostro impegno che la vittoria sulla morte da parte di Gesù è la garanzia che tutti i mali del mondo possono essere vinti. Essere testimoni del Risorto deve significare non solo annunciare il fatto storico della risurrezione, ma dimostrare che i mali del mondo possono essere vinti e cancellati attraverso l’azione di quanti credono nella risurrezione di Gesù.

S. Paolo, che aveva subito l’umiliazione del rifiuto da parte degli ateniesi ai quali aveva iniziato a parlare della risurrezione di Gesù (At 17, 22-33), esorta i cristiani ad essere protagonisti della liberazione dai mali esistenti nel mondo. La liturgia di Pasqua, per indicare ai fedeli come essere testimoni della Pasqua del Signore, adopera due suoi testi. In uno egli esorta a vivere da risorti: Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio! Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria (Col 3, 1-4). L’invito è ad uscir fuori dal proprio egoismo e ad impostare una vita a partire dall’eternità. Nell’altro esorta ed essere lievito nuovo per il mondo: Non sapete che un pò di lievito fa fermentare tutta la pasta? Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete azzimi. E infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato! Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità (1 Cor 5, 6-8). Il richiamo a quel po’ di lievito ci ricorda le parabole di Gesù sul regno (Mt 13).

Ecco tracciato il cammino per come contribuire a rinnovare tutto e a vincere quel male che dipende dall’uomo. Bisogna fare in modo che dove noi siamo ed operiamo si rifletta quella liberazione interiore che noi viviamo in forza della grazia pasquale che abbiamo ricevuto vincendo il peccato.

Il lievito nuovo è considerare la propria vita come dono da fare agli altri; è amare sino al dono della vita; è compiere il proprio dovere ponendosi nell’ottica del servizio; è aver compassione del dolore altrui, nel senso di saper condividere; è illuminare con la luce del Vangelo il proprio e l’altrui cammino; è saper perdonare e riconciliarsi; è saper essere pazienti attendendo il maturarsi del tempo di Dio. E ciò nella quotidianità della vita, nell’ordinarietà delle relazioni interpersonali.

Ogni azione dell’uomo che mira a riscattare una qualunque forma di male esistente nel mondo, nel campo del sapere scientifico, dell’impegno sociale, della lotta politica, dell’educazione dell’uomo e della protezione del creato, è una testimonianza che il Risorto è vivo e la sua risurrezione opera in mezzo a noi come fermento di vita e di speranza.

Ecco che cosa vuol dire testimoniare la speranza pasquale del cambiamento e del rinnovamento.

Ecco il significato dell’atto di fede: nella risurrezione di Cristo tutto il male è stato sconfitto.

 Giuseppe Fiorini Morosini

Vescovo di Locri-Gerace

 

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