(foto e video di Enzo Lacopo)
di Francesca Cusumano
LOCRI – Tre gli autori dell’efferato omicidio di Vincenzo Cordì, l’uomo trovato carbonizzato all’interno della propria autovettura in località Scialata, nel Comune di San Giovanni di Gerace, nel mese di novembre dello scorso anno.
I Carabinieri della Compagnia di Roccella Jonica, con il coordinamento della Procura della Repubblica di Locri, nelle prime ore di stamane, hanno dato esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal Gip presso il Tribunale di Locri, nei confronti di Susanna Brescia, compagna della vittima, disoccupata, con precedenti di polizia per reati contro la pubblica fede e il patrimonio; Francesco Sfara, figlio della donna, nato da un precedente matrimonio, disoccupato, con precedenti di polizia per reati contro il patrimonio; e infine, Giuseppe Menniti, amante della compagna di Vincenzo Cordì, operaio, pregiudicato per reati in materia di stupefacenti e con precedenti di polizia per reati contro la pubblica fede.
Questo pomeriggio, in occasione della conferenza stampa convocata, sono stati forniti alla stampa ulteriori dettagli che hanno consentito all’Arma dei Carabinieri, di risolvere brillantemente, grazie alle serrate indagini condotte, uno dei più gravosi delitti degli ultimi tempi, il cui movente si inquadra nell’ambito prettamente familiare.
E’ il 13 novembre dello scorso anno quando, secondo la ricostruzione dei fatti effettuata dal comandante della Compagnia Carabinieri di Roccella Jonica, Carmelo Beringheli, i militari vengono a conoscenza del ritrovamento di un cadavere, grazie alla segnalazione di un cittadino che quel giorno transitando in località Scialata, si accorse di un veicolo completamente carbonizzato, una Fiat 16.
Altro particolare però, che ha destato l’immediato interesse dei Carabinieri, la denuncia di scomparsa che la compagna di Vincenzo Cordì, Susanna Brescia, aveva fatto la sera prima, il 12 novembre, presso la Stazione dei Carabinieri di Marina di Gioiosa Jonica.
Da quel momento, si è avviata in maniera capillare, la raccolta di una serie di elementi determinanti per la tempestiva soluzione del caso.
A rendere più complesse le indagini inizialmente, il vano tentativo della compagna di Cordì, al fine di depistare le indagini, di far credere agli inquirenti che il compagno si fosse in realtà suicidato, a causa della sua profonda crisi depressiva. «Da un lato ci siamo trovati – ha spiegato Beringheli – dinanzi alla versione di una donna che addebitava l’allontanamento del marito a un intento suicidario e dall’altro, dinanzi a una scena del crimine che ha evidenziato da subito, alcune anomalie». Il corpo dell’uomo infatti, ucciso la sera dell’11 novembre scorso tra le ore 22,30 e le 23,30, è stato rinvenuto in posizione supina, con quello che era rimasto del cranio, tra la leva del cambio e il freno a mano. I sedili dell’utilitaria entrambi abbassati, con il bacino e gli arti inferiori dell’uomo, sul poggiatesta lato guida, con il braccio sinistro, rivolto in maniera specifica, verso l’alto. «Già questo particolare – ha proseguito Beringheli – ha fatto presupporre che qualcosa non fosse andato come in realtà, volevasi dimostrare. Perché se si fosse trattato di suicidio, il corpo carbonizzato avrebbe assunto una posizione rannicchiata, cosìddetta posizione da “lottatore”. L’uomo invece, era completamente disteso».
Il prosieguo delle indagini condotte non solo all’interno del veicolo ma anche attorno all’area circostante, ha permesso altresì di rinvenire un cellulare, un Huawei di colore nero e la presenza di liquido combustibile, ovvero benzina. Ma anche, il ritrovamento di un accendino, “antivento”, in grado di mantenere una fiamma costante anche per parecchi minuti, dalle dimensioni piuttosto consistenti. Tutti elementi che alla fine attesteranno, a partire anche dall’acquisizione delle immagini di sistemi di videosorveglianza di tutta la Compagnia di Roccella Jonica (da Pazzano a Marina di Gioiosa Jonica, compresa Grotteria) che non si fosse trattato di suicidio bensì di omicidio.
A ciò si è poi aggiunta, la ricostruzione del percorso compiuto dagli autori del delitto, che una volta raggiunta la località Scialata, avevano provveduto a commettere il delitto. Le indagini hanno infatti accertato che Susanna Brescia, compagna di Cordì, dopo averlo condotto con l’inganno sul luogo della morte, lo ha dapprima tramortito con un oggetto contendente, unitamente al figlio e all’amante, per poi cospargerlo di benzina, dandogli fuoco all’interno della Fiat 16. Già nell’aprile del 2016, la donna aveva tentato di avvelenare il suo compagno.
Di fondamentale importanza, anche le telecamere di un distributore di benzina di Marina di Gioiosa Jonica, che hanno consentito ai Carabinieri, di identificare l’amante della compagna di Vincenzo Cordì, Giuseppe Menniti, per una loro distrazione.
« Giuseppe Menniti – ha dichiarato il comandante Beringheli – il giorno dell’omicidio, si reca ad un distributore di benzina di Marina di Gioiosa Jonica con in mano una tanica di benzina di colore rosso, inserisce una banconota di 10 euro e riempie la tanica. Tuttavia, poiché quest’ultima non era sufficiente a contenere il liquido infiammabile, quando il Menniti ritorna dopo qualche secondo con una Fiat punto grigia, con delle macchie sopra il tetto univoche e con determinati cerchi in lega, scenderà a volto scoperto, a differenza della prima volta che era totalmente travisato, con lo stesso bomber di colore nero e jeans chiari. Alla guida della macchina invece, il figlio primogenito della donna, nato da un precedente matrimonio. Il maltempo inoltre – ha rimarcato il comandante della Compagnia Carabinieri di Roccella Jonica – ci ha aiutato a collocare nel tempo, quando la macchina guidata dal figlio di Susanna Brescia, lascia l’abitazione per recarsi a Marina di Gioiosa Jonica, recuperare l’amante della madre, fare benzina e poi proseguire in località Scialata. E sarà proprio un lampo ad illuminare l’auto a luci spente, lampo che se non ci fosse stato, non ci avrebbe aiutato a capire a che ora Francesco Sfara, figlio della donna, sarebbe partito, un tassello fondamentale per ricostruire e mettere insieme tutti i pezzi del puzzle».
«Sono qui per testimoniare – è poi intervenuto il procuratore della Repubblica di Locri, Luigi D’Alessio – la nostra gratitudine all’Arma e al sostituto procuratore, la dottoressa Marzia Currao, poiché è stata data soluzione a un brutto fatto di sangue, particolarmente efferato e probabilmente premeditato da oltre un anno, che non va iscritto ad una matrice di criminalità organizzata. Un caso complicato, che con il lavoro della dottoressa Currao in sinergia con il reparto operativo dei Carabinieri della Compagnia di Roccella Jonica e con il supporto di tutta l’Arma e la presenza oggi, del comandante provinciale dei Carabinieri di Reggio Calabria, Giuseppe Battaglia, sta a significare che si è sempre un tutt’uno in queste vicende, per cercare di arrivare a una soluzione. Per la soluzione di questo caso, ringrazio anche il Ris di Messina e il Rasic di Roma, cui è stato possibile pervenire ad un quadro probatorio esaustivo, un caso quest’ultimo, che si giocava soprattutto sulla prova scientifica. Tant’è che abbiamo affidato la nostra consulenza oltre al medico legale Tarzia, anche al professore Introna di Bari, che attualmente si sta occupando dell’esame dei resti della povera vittima. La vera risposta, sarà quella processuale, intanto siamo riusciti ad ottenere una misura cautelare. E aver assicurato i responsabili alla giustizia, ci sembra un ottimo risultato».


«E’ stato proprio un grande lavoro di squadra – ha commentato a seguire il comandante provinciale dei Carabinieri di Reggio Calabria, Giuseppe Battaglia. Tutti abbiamo fatto il nostro dovere, tutti hanno assicurato il proprio ruolo, l’esperienza del procuratore, la solerzia e la tempestività con cui la dottoressa Currao ha dato poi corso a spunti investigativi del territorio e i Carabinieri che per primi, non hanno creduto alla facile ipotesi del suicidio della vittima, a partire dagli accertamenti condotti sul terreno, con un meticoloso sopralluogo sulla scena del crimine. Insomma, tutto per rendere giustizia al povero Cordì, senza liquidarne facilmente la morte con un tentativo di suicidio».
«In poco più di 60 giorni – ha poi ribadito il tenente colonnello Giovanni Capone, comandante del Gruppo Carabinieri di Locri – con una serie di accertamenti scientifici, siamo riusciti ad arrivare alla conclusione della parte più importante di questa attività di indagine. Un disegno criminoso messo in atto da una donna, con la complicità del figlio e dell’amante. Uno dei delitti più efferati degli ultimi mesi sul territorio, non soltanto per le modalità di consumazione, ma soprattutto perché un delitto profondamente premeditato con una capacità di pianificazione dai contorni macabri».
VIDEO CON ALCUNI MOMENTI DELLA CONFERENZA STAMPA