
FotoGallery e Reportage ESCLUSIVI di Enzo Lacopo © 2019
R. & P.
La lettura, l’ascolto ragionato e il metodo dell’analisi critica, sono stati gli ingredienti principali della manifestazione in memoria di Francesco Fortugno, il vicepresidente del Consiglio regionale della Calabria assassinato dalla ‘ndrangheta il 16 ottobre del 2005.
Un appuntamento sempre molto sentito e partecipato dalla città di Locri che anche quest’anno si è fermata per ricordare una delle pagine più drammatiche della storia recente della Calabria.
Tanti i rappresentanti delle istituzioni, delle forze dell’ordine oltre, naturalmente, i giovani, che hanno reso omaggio alla figura di Fortugno in una giornata scandita da diversi momenti, nel segno della memoria e della partecipazione.


La cappella dell’ospedale di Locri ha ospitato la santa messa officiata dal vescovo di Locri-Gerace, monsignor Francesco Oliva, a cui è seguita la deposizione della corona da parte delle Istituzioni dello Stato a Palazzo Nieddu alla presenza, fra gli altri, del Generale di corpo d’armata, Luigi Robusto, del Sottosegretario di Stato al Ministero della Difesa, Giulio Calvisi, del prefetto di Reggio Calabria, Massimo Mariani, del Procuratore della Repubblica di Catanzaro, Nicola Gratteri e del Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, Giovanni Bombardieri.


L’evento è poi proseguito nel Liceo Scienze Umane e Linguistico Giuseppe Mazzini di Locri dove si è tenuto il reading letterario dal titolo: “Leggo…per legittima difesa” ad opera dell’attore Giuseppe Zeno che ha letto e interpretato (con l’accompagnamento musicale del “Nigun Clarinet Quartet”) alcuni testi di autori e personalità che hanno lasciato il segno nella letteratura, nell’impegno civile e nella lotta alle mafie.
L’incontro, condotto dalla giornalista Rai, Gabriella D’Atri, si è aperto con i saluti istituzionali di Francesco Sacco, dirigente scolastico del liceo “Mazzini”, di Maria Grazia Laganà Fortugno, vedova del vicepresidente del Consiglio regionale calabrese, di Giovanni Calabrese, sindaco di Locri e di Nicola Irto, presidente del Consiglio regionale della Calabria.
“Abbiamo pensato di legare la commemorazione di Franco – ha detto nel suo intervento l’onorevole Laganà Fortugno – al tema della lettura. Siamo rimasti colpiti dai dati negativi dell’Istat che hanno fotografato una realtà difficile da accettare: al Sud, legge meno di una persona su tre e la Calabria, purtroppo, è penultima in classifica. La lotta alla ‘ndrangheta si deve fare sui territori e, come diceva Franco, è una battaglia dalla quale nessuno si può chiamare fuori”.
“L’omicidio Fortugno – ha dichiarato il presidente Irto – ha rappresentato un attacco al cuore della democrazia in Calabria, la cui gravità, ancora oggi, richiede a ciascuno di noi una seria riflessione e impone alla politica un solenne patto di ripudio della ‘ndrangheta e del suo consenso inquinato”.
“Franco Fortugno non è morto invano – ha detto nella sua omelia monsignor Oliva – perché da quel tragico giorno si è messo in moto un nuovo percorso di convivenza cittadina. Percorso su cui occorre l’impegno di tutti e che deve porre la pace e la giustizia quali suoi pilastri”.
“La ‘ndrangheta ci ha rubato gli anni migliori delle nostre esistenze – ha evidenziato il sindaco Calabrese – e oggi tocca ai giovani, che non hanno vissuto quelle pagine così tristi, dare vigore al nuovo corso che è iniziato in questi ultimi anni e per il quale dobbiamo essere grati alle forze dell’ordine, alla magistratura e alle istituzioni”.
“Ricordiamo Franco – ha detto il preside Sacco – sempre con grande affetto e siamo convinti che il suo modello possa ispirare al meglio i nostri ragazzi. Crediamo molto in queste iniziative perché è solo attraverso la conoscenza e lo studio delle testimonianze di quanti hanno speso la loro vita per il bene comune, che possiamo trasmettere alle giovani generazioni il valore della legalità e della civile convivenza”.
“Come uomini delle Istituzioni – ha detto il sottosegretario Calvisi – e rappresentanti del Governo, abbiamo il dovere di continuare ad alimentare la memoria di Francesco Fortugno, assumendolo ad esempio soprattutto per le giovani generazioni. Non possiamo non essere grati alla famiglia Fortugno per aver reso il momento della commemorazione di Franco un’occasione per ricordare la gravità di quanto accaduto, ma soprattutto per rinnovare l’impegno, che deve coinvolgere tutti, nella lotta alle mafie, segnatamente alla ‘ndrangheta. Nel Paese, ma soprattutto in Calabria, la lotta ai clan deve continuare a rappresentare la priorità. La ‘ndrangheta rappresenta la grande zavorra di questa regione ed è la causa principale del sottosviluppo del territorio. La Calabria va liberata. Serve un forte investimento sulla promozione della cultura della legalità. Ecco perché incontri come quello di oggi, alla presenza di tanti studenti, sono importantissimi, direi fondamentali. Soltanto partendo dai giovani, ai quali va fatto comprendere che la ‘ndrangheta è il male assoluto, potrà nel tempo essere costruita una società calabrese diversa e “bonificata” totalmente dalla presenza della minoranza che la tiene in ostaggio: una Calabria che tiri fuori fuori il meglio di sé e che sia rispettosa di se stessa, con la stessa dignità con la quale si ribellò dopo il delitto Fortugno”.
Di grande impatto e cariche di significati le parole e le testimonianze che i ragazzi di Locri hanno potuto ascoltare tratte da alcuni scritti dei giudici Antonino Caponnetto e Rosario Livatino e del poeta siciliano, vincitore negli anni ’80 dei premi Campiello e Strega, Gesualdo Bufalino.
Spazio anche a contribuiti contemporanei con la lettura di alcune pagine de “L’inganno della mafia”, libro scritto da Nicola Gratteri, uno dei magistrati oggi più esposti nella lotta alla ‘ndrangheta e Antonio Nicaso, noto studioso dei fenomeni mafiosi in ambito internazionale.
Un’interpretazione emotivamente intensa, a tratti toccante, quella messa in scena da Giuseppe Zeno che ha voluto così commentare l’evento: “Non esiste luogo migliore di una scuola per affrontare e ripercorrere le esperienze di vita e l’impegno civile di chi ha lottato e lotta ancora oggi contro la criminalità organizzata. Leggere per legittima difesa significa proprio questo, convincere i ragazzi che solo attraverso la cultura, lo studio e l’impegno, è possibile realizzare un autentico cambiamento. Questa terra ha delle potenzialità enormi e tocca proprio a loro essere gli artefici di una nuova stagione di rinascita sociale e culturale”.
La giornata si è conclusa con la deposizione della corona al cimitero di Locri da parte del presidente del Consiglio regionale.

















DI SEGUITO IL TESTO DELL’OMELIA PRONUNCIATA DURANTE LA SANTA MESSA, CELEBRATA NELLA CAPPELLA DELL’OSPEDALE CIVILE DI LOCRI:
L’omicidio dell’on. Franco Fortugno 14 anni fa è stato un evento tragico che ha segnato un punto di passaggio nella vita della nostra comunità. Da allora le cose non sono rimaste come prima. La comunità ha saputo reagire all’arroganza criminale, cercando nuovi percorsi di legalità.
L’on. Franco Fortugno non è morto invano. Il suo sacrificio non è stato inutile. La sua morte ha portato la società civile più onesta a comprendere che occorreva ricostruire su basi nuove la convivenza cittadina. Mettere da parte l’arroganza mafiosa e intraprendere cammini di legalità e di rispetto.
La Parola di Dio che abbiamo ascoltato ci consegna una riflessione utile anche per quanti di noi svolgono ruoli istituzionali di governo.
Ci sarà però un giudizio finale, il giusto giudizio di Dio. Lo afferma san Paolo nella prima lettura, ove dice: “Dio renderà a ciascuno secondo le sue opere: la vita eterna a coloro che, perseverando nelle opere di bene, cercano gloria, onore, incorruttibilità; ira e sdegno contro coloro che, per ribellione, disobbediscono alla verità e obbediscono all’ingiustizia” (S. Paolo ai Romani).
Il giudizio di Dio condanna quanti non vivono secondo giustizia, ma preferiscono le vie dell’illegalità e del male.
Ci sarà un giudizio finale, ma nessuno può ergersi a giudice degli altri. Dovremo rispondere davanti a Dio sui giudizi facili e non corrispondenti alla verità, che distruggono gli innocenti con condanna definitiva prima ancora di un regolare giudizio. Solo Dio che conosce ogni cosa e vede nell’intimo può giudicare.
Il suo giudizio è imparziale. Dio è uno che non fa preferenza di persone; tutti uguali davanti a Lui.
Il Vangelo (Lc 11, 42-46) ci presenta il rapporto dialettico tra Gesù e la classe dirigente del tempo rappresentata da farisei e dottori della legge. Gesù ne contesta alcuni comportamenti e contraddizioni. Non ne ammette la falsità e l’incoerenza tra quanto predicano ed impongono agli altri e quanto fanno.
Non ammette soprattutto il fatto che mentre vogliono far vedere di rispettare la legge osservandone i minimi precetti la tradiscono poi in ciò che vi è di essenziale. Pagano la decima sulla menta, osservano cioè le leggi minime per farsi vedere e rispettare dalla gente (è tutto un formalismo, tutto apparenza, dentro c’è solo putredine e malvagità), ma non osservano la giustizia e l’amore di Dio.
La giustizia e l’amore sono i fondamenti dell’agire umano.
La giustizia riguarda le relazioni interpersonali, il modo di trattare gli altri, la relazionalità umana. La giustizia favorisce la pace, rispetta i diritti di tutti, specie degli ultimi. Porta a trattare gli altri come si desidera essere trattati dagli altri, a non fare agli altri quello che non si vuole che gli altri facciano a se stessi.
L’amore di Dio è il fondamento dell’amore verso il prossimo: amando Dio e riconoscendolo al di sopra di tutti dà il giusto ordine alle cose create. Dio Creatore e Padre è fondamento della dignità di ogni uomo.
Ecco allora l’essenza della legge: la giustizia e la pace, rispetto degli altri e amore di Dio.
Trascurare la giustizia e l’amore di Dio è il peccato più grande ancora oggi, e nessuno è esente da tale rischio.
REPORTAGE ESCLUSIVO