di Gianluca Albanese
PLATI’ – «Così è Platì: una puttana di cui tutti possono dir male senza nemmeno averla conosciuta o vista». La frase non è opera di uno scrittore locale, ma è uno stralcio di un articolo pubblicato vent’anni fa a firma del compianto Beppe D’Avanzo, storico cronista de “La Repubblica”, scomparso sette anni orsono. Viene riportata in un piccolo capolavoro di letteratura contemporanea: “Caci Il brigante” (2016, Leonida Edizioni) del 33enne avvocato e scrittore platiese Michele Papalia.
Una frase che dice tutto e che spiega molto di Platì.
Platì che da ventiquattr’ore non ha più un’amministrazione comunale, dopo le dimissioni di quattro consiglieri liberamente eletti appena venti mesi fa.
Viene spontaneo chiedersi cosa sia cambiato rispetto all’articolo firmato da D’Avanzo vent’anni fa: verrebbe da dire “nulla”; in realtà, qualcosa è cambiato, eccome.
Dopo anni, lustri, in cui lo Stato faticava non a riappropriarsi di Platì ma ad armonizzarsi col tessuto sociale locale, poco più di un anno e mezzo fa era stata eletta un’amministrazione comunale, composta non da aspiranti starlette venute da fuori in cerca di visibilità mediatica, ma da cittadini del posto, espressione sia del centro cittadino che delle numerose e sterminate contrade, disseminate anche a parecchi chilometri dalla sede del municipio.
Oggi, quell’amministrazione comunale, che per venti mesi aveva fatto apparire Platì come un paese normale, non è più in carica. E la colpa, come ha ammesso l’ormai destituito sindaco Rosario Sergi, non è dello Stato, men che meno della Prefettura che ha semplicemente applicato la legge, ma il commissariamento del Comune è il risultato della decisione di quattro ex consiglieri che, congiuntamente, si sono dimessi adducendo “motivi personali” tali da far venir meno il numero legale necessario ad assicurare un minimo di rappresentatività alla massima espressione della democrazia cittadina.
Sia ben chiaro, in democrazia il dissenso è sacrosanto, e lungi da noi è sostenere acriticamente l’ormai deposta amministrazione comunale. Purché – aggiungiamo però – espresso nelle sedi e nei momenti opportuni, a cominciare dal consiglio comunale.
E allora, viene da chiedersi “Cui prodest”? Ovvero, a chi giova l’ennesimo commissariamento del Comune? Sicuramente non alla comunità di Platì. Che per una stagione durata troppo poco aveva vissuto come tutti i paesi normali d’Italia, e che ora non può nemmeno dare agio ai soloni che a ogni piè sospinto si scagliano contro la legge “liberticida” che impone lo scioglimento dei consigli comunali per infiltrazioni mafiose. No, non è il caso dell’amministrazione Sergi, che per venti mesi ha fatto quello che una buona amministrazione deve fare: ricognizione e rivitalizzazione dei mutui residui e giacenti e tutta la progettazione che serve per intercettare finanziamenti tali da poter realizzare opere pubbliche, molte delle quali basilari.
Il riconoscimento della De.Co. per lo squisito pane prodotto nei forni locali non è un’utopia: è l’ABC per chi vuole dare spazio e forza alla produttività locale; idem per la bellezza dei numerosi portali e per le espressioni culturali della cittadina aspromontana, nella quale, da secoli, si lotta per prevenire – laddove è possibile – o combattere i fenomeni di esondazione di quel torrente Ciancio che, specie nei mesi invernali, fa più paura di qualsiasi altra cosa.
Lo ammettiamo: vogliamo tanto bene a Platì. Talmente tanto da non sopportare le passerelle dei politici – che non sono mancate negli anni scorsi – che sono venuti a fare il pieno di abbracci e strette di mano, dopo aver dispensato promesse vane ed essere subito dopo andati via non prima di aver caricato in macchina generose e profumate forme di pane appena sfornato.
Vogliamo bene a Platì perché è la terra natia di un grande giornalista calabrese come il compianto Totò Delfino; amiamo Platì perché in queste ultime settimane stava facendo emergere fermenti culturali di un certo livello, come l’associazione appena costituita e che vede come soci, tra gli altri, il già citato scrittore Michele Papalia, e uomini di indiscusse doti come Pasquale e Domenico Catanzariti.
Che ne sarà di Platì, ora?
Tornerà ad essere un posto in cui lo Stato viene visto solo come Giudice e Carabiniere o saprà rinascere dalle ceneri di una democrazia che stavolta non è tolta da un decreto del presidente della Repubblica che firma lo scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni mafiose su proposta di un Ministro dell’Interno, ma dal venir meno del numero di consiglieri comunali nel civico consesso?
La speranza è riposta in tutte le forze sane espressione del paese che, siamo pronti a giurarlo, non mancano.
A partire dai suoi giovani più istruiti e determinati, da quelli impegnati in politica (come il responsabile del settore “legalità” dei Giovani Democratici reggini) e in quelli che investono sulla cultura.
Domenica scorsa, nello spazio culturale “MAG. La ladra di libri”, in occasione della presentazione del libro di Michele Papalia, abbiamo visto la partecipazione di una larga rappresentanza della comunità cittadina fatta di persone positive, colte, intellettualmente vivaci.
E’ in loro che riponiamo le nostre speranze per una Platì stanca di soprusi ma anche di tradimenti, come quelli di cui fu vittima, un secolo e mezzo fa, quel Ferdinando Mittica, detto “Caci il brigante” che lottava contro gli abusi della nobiltà dominante all’epoca, a costo di finire presto la propria esistenza terrena.
Platì, a nostro modo di vedere, merita molto di più.