di Gianluca Albanese
SIDERNO – Siamo cresciuti con la ferrea determinazione a scegliere da che parte stare. E abbiamo scelto, chiaramente, di stare dalla parte della legalità, dell’amministrazione onesta e rispettosa dei principi costituzionali e della necessità di scegliere in cabina elettorale persone pulite e al di sopra di ogni sospetto per governare la cosa pubblica, in primis nel Comune, la prima istituzione, quella cosiddetta “di prossimità” ai cittadini, considerato da noi, e dai tanti che la pensano come noi, “bene comune”.
Il nostro nemico – e quello della stragrande maggioranza dei cittadini della nostra comunità – è la ‘ndrangheta. Sembra quasi pleonastico ribadirlo, visto che la nostra azione quotidiana è improntata al rispetto della legge e al pieno sostegno alle Forze dell’Ordine, alla Magistratura (giudicante, ancor prima che inquirente), e agli amministratori onesti.
Ma, come si dice in questi casi…repetita iuvant.
D’altro canto, però, crediamo di conoscere personalmente gli amministratori comunali di Marina di Gioiosa Ionica e di Siderno, la loro moralità, la loro storia personale e le ragioni che li hanno spinti a candidarsi per amministrare la cosa pubblica, e la convinzione con cui i cittadini li hanno eletti con una larghissima maggioranza.
Basta questo per elevarli al di sopra di ogni sospetto? Forse no. Ma non ci sembra poco.
Di certo, l’invio di una commissione d’accesso antimafia agli atti amministrativi non è un buon segnale. O meglio, è il segnale che chi è preposto al controllo vuole approfondire la conoscenza delle dinamiche amministrative di un Comune.
Ovviamente, non rappresenta una sentenza di colpevolezza. Anzi, qualora i commissari di accesso non dovessero riscontrare forme di condizionamento mafioso, questo rappresenterebbe un ulteriore “sigillo” di legalità dell’azione amministrativa.
Il problema, però, non riguarda solo gli eletti. Ma, nel caso di Marina di Gioiosa e Siderno (ma anche di Platì, San Luca e di molti altri Comuni della nostra zona) riguarda innanzitutto gli elettori.
La sensazione crescente, infatti, è quella di una democrazia in qualche modo “limitata” a queste latitudini. Come dire…quando li avete votati siete stati cittadini come nel resto d’Italia, ma non è detto che quando scegliete voi da chi essere amministrati abbiate scelto bene e allora chi avete liberamente eletto necessita di un supplemento di controllo da parte della Prefettura.
E’ una realtà tristissima, intimamente connessa all’esercizio dell’elettorato attivo.
Da quando ci occupiamo di informazione politica ne abbiamo visti di invii di commissione d’accesso agli atti e di scioglimenti dei consigli comunali.
Ma se in altri casi questi eventi sono stati anticipati o seguiti a breve da operazioni della DdA di Reggio Calabria che hanno colpito presunti affiliati ai clan e amministratori in primo luogo considerati collusi (salvo poi le sentenze di assoluzione o i rinvii in Appello come nel caso degli ex amministratori coinvolti nell’operazione “Circolo Formato”), nei casi delle attuali amministrazioni comunali di Marina di Gioiosa e di Siderno (per citare gli ultimi due casi, ma potremmo nominare anche tanti altri) i prodromi non sembrano esserci.
Insomma, c’è il sospetto che qualche cosa non vada, ma non si sa, e ad oggi nemmeno si immagina, chi siano i corrotti, i collusi e quali siano stati gli atti amministrativi meritevoli di un controllo così approfondito.
A meno che – e se il nostro sentore fosse suffragato dai fatti sarebbe davvero una cosa molto grave – non sia condizione sufficiente per l’invio di una commissione d’accesso la presenza in un territorio di potenti cosche di ‘ndrangheta tale da costituire di per sé elemento sufficiente a ipotizzare forme di condizionamento mafioso della vita amministrativa di un ente. Come dire…con degli ‘ndranghetisti di tale spessore criminale in loco, è impossibile che non ci sia stato un condizionamento della pubblica amministrazione.
Se davvero fosse così, dovrebbero farci il piacere di dirlo prima di ogni appuntamento elettorale. Sarebbe, infatti, elemento sufficiente a evitare di candidarsi per proporsi ad amministrare la propria città, sottraendo tempo ed energie al proprio lavoro, alla propria famiglia e ai propri interessi e, nel caso degli elettori, sarebbe una condizione tale da rinunciare all’esercizio dell’elettorato attivo che, se così fosse, si trasformerebbe in una inutile pantomima, come se ogni appuntamento elettorale si trasformasse in una puntata dello show televisivo “Scherzi a parte”.
A San Luca lo hanno capito molto tempo prima, rinunciando a presentare candidature e lasciando tutto ai commissari prefettizi via via nominati per mancanza di candidati.
A Platì, dove dopo una vita una aspirante compagine amministrativa composta da cittadini del posto si è candidata ed è stata votata, si sono subito annidati tanti di quei sospetti da arrivare a pensare che, come amava dire Corrado Alvaro «La disperazione più grande che possa impadronirsi di una società è il dubbio che essere onesti sia inutile».
E allora, viene quasi voglia di parafrasare quello slogan che un paio di lustri fa venne coniato dai cosiddetti “ragazzi di Locri” nelle manifestazioni che seguirono all’omicidio di Franco Fortugno, ovvero “E adesso ammazzateci tutti”.
Se chi si candida ad amministrare sa di dover fare i conti ogni giorno con la presenza di una ‘ndrangheta feroce e vorace, d’altro canto deve imparare a sapere che dovrà vedersela anche con uno Stato quantomeno sospettoso e pronto a mettere in dubbio ogni azione, ogni atto amministrativo, in quanto compiuto in un territorio ad alta densità crimimale.
Essere tra due fuochi, o sentirsi come “tra Scilla e Cariddi” non è sicuramente un esercizio semplice da sostenere. O almeno, è quanto basta per indurre a pensare che chi crede ancora che ci possa essere un’amministrazione capace di governare la cosa pubblica senza suscitare dubbi di condizionamento mafioso sia alla stregua di un comportamento da ingenui sognatori, da poveri illusi.
E allora, dubitiamo che in queste condizioni ci sia qualcuno disposto, un domani, a candidarsi per amministrare il proprio paese. Specie in anni in cui i soldi che il Governo destina ai Comuni sono sempre di meno e l’amministratore comunale, in molti casi, è costretto a mortificare il proprio ruolo, riducendolo a quello di mero esattore dei tributi il cui incasso va, in larga parte, girato allo Stato, tanto da non riuscire a soddisfare le esigenze di erogazione di servizi ai cittadini e a realizzare, seppur in minima parte, quanto si è promesso in campagna elettorale.
Dunque, a meno di clamorose scoperte da parte delle commissioni di accesso agli atti, tali da smentire ogni assunto di questa accorata riflessione, non ci resta che dire “E adesso…commissariateci tutti”. Ovvero, fateci rinunciare al diritto di elettorato (attivo e passivo) e limitiamoci a sperare nell’arrivo di commissari dal volto umano, come quel Luca Rotondi che qualche anno fa guidò con grande buonsenso il Comune di Siderno prima e quelli di Careri e Platì dopo.
Attenzione però, che il ragionamento non vale solo per le elezioni comunali, ma anche per le regionali e, soprattutto, per le Politiche, laddove il diritto di esprimere voti di preferenza è stato negato da tempo, e dove gli eletti li decidono anzitempo le segreterie nazionali dei partiti, magari gli stessi che poi, una volta eletti, vanno al Governo e nominano i prefetti.
Certo, sarebbe un atto di morte della democrazia, ma in tempi come questi si ha il sinistro presagio che tutto ciò, da queste parti, rappresenti solo una triste e malinconica rinuncia al proprio status di cittadini e a un’implicita accettazione della condizione, molto meno dignitosa, di sudditi.