di Gianluca Albanese
LOCRI – «Buongiorno al presidente; buongiorno a tutto il tribunale; buongiorno agli imputati. Mi astengo dal sottopormi all’esame odierno e anticipo che farò altre dichiarazioni spontanee». Così, con un saluto ossequioso e l’anticipazione delle proprie intenzioni, l’ex consigliere comunale Commisso Domenico classe ’75 ha aperto la seconda parte dell’udienza odierna del processo “Falsa Politica“, proseguita con l’esame degli altri imputati.
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Subito dopo è toccato a Commisso Rocco, figlio di Commisso Giuseppe classe ’47 detto “Il Mastro”.
Nel rispondere alle domande del Pm De Bernardo, il giovane Commisso ha inteso tracciare il ritratto di un ragazzo dedito al lavoro e alla sua grande passione per le arti marziali orientali, che praticava come istruttore, tanto da partecipare spesso a degli stage fuori regione.
E di un rapporto col padre caratterizzato da «I soliti contrasti tra padre e figlio, per differente mentalità e incompatibilità di carattere. Il mio carattere – ha proseguito Commisso – non si sposa con questioni di società criminali e mio padre sapeva che non avevo attitudine a far parte della società di ‘ndrangheta, della quale in famiglia non si parlava mai».
Dopo uno scambio di vedute sui contenuti relativi ad alcune trascrizioni in cui il padre avrebbe riferito a un suo interlocutore che il figlio era «Attivo, ma parte della “società minore”», Commisso ha detto che «Quando arrestarono per la prima volta mio padre avevo 12 anni e rimase in carcere per cinque anni. Poi uscì assolto e io sapevo delle vicissitudini giudiziarie di miei cugini e delle morti nella faida di ‘ndrangheta a Siderno, che però finì nel 1990.
Nel corso del controesame condotto dall’avvocato Mario Santambrogio, Rocco Commisso ha parlato della sua vita dedita al lavoro di istruttore di scuola guida, della quale era titolare e che gli fu sequestrata e poi, dopo poco tempo, dissequestrata, così come le somme di denaro rinvenute, ha riferito di non avere precedenti penali, di non frequentare pregiudicati e di non essere mai stato perquisito per controlli.
E della sua grande passione per le arti marziali, che coltivava dopo il lavoro e nei fine settimana «Anche se mio padre – ha riferito in aula – mi diceva qualche volta “chi vai facendu?”, ma io non lo mettevo nemmeno al corrente dei miei impegni di istruttore di arti marziali, che prendevo nel tempo libero. Facevo la spesa al centro commerciale “I Portici” – ha proseguito – ma non andavo mai alla lavanderia di mio padre».
L’avvocato Davide Lurasco, difensore di Commisso Domenico classe ’75, gli ha chiesto se ci fossero in famiglia degli omonimi del suo assistito nipoti del Mastro, visto che lo stesso boss, nominò, nel corso delle intercettazioni trascritte agli atti del processo, tale “Micarello”.
«Commisso Domenico classe ’75 – ha riferito in aula Rocco Commisso – è mio primo cugino, visto che mia madre Clementina Commisso e suo padre sono fratello e sorella, e ho altri due cugini che si chiamano Domenico Commisso, e hanno circa 35 anni. Da quello che so io – ha proseguito – Commisso Domenico classe ’75 non è mai andato a trovare mio padre in carcere e non gli ha mai scritto alcuna lettera».
Dopodiché è toccato all’altro imputato Giovanni Verbeni.
Nel rispondere alle domande del Pubblico Ministero, Verbeni, fratello dell’ex consigliere comunale di maggioranza Roberto, ha detto che «Lavoravo nella mia agenzia di pratiche auto e non ho mai fatto politica attiva. Ho sempre seguito mio fratello, dal punto di vista politico, che è un bravo ragazzo e ha una linea politica chiara e lineare, tanto che lo stesso Mastro, che conoscevo ma non in maniera approfondita, e col quale ogni tanto discutevamo del più e del meno, teneva affinché Cherubino fosse eletto e lo indicava come probabile eletto, ma sapeva pure che non potevo votarlo perché seguo mio fratello Roberto che ha altro orientamento politico».
Già, il rapporto tra Giovanni Verbeni e il Mastro.
Nel controesame, condotto dall’avvocato Gerace, Verbeni ha detto che «Non eravamo proprio in confidenza, tanto che lui mi chiese quanti anni avessi e non sapeva nemmeno dei miei problemi di salute».
L’imputato ha aggiunto di non essere «Mai stato indagato, di non avere precedenti o fermi e di non aver mai frequentato, nemmeno in maniera occasionale, pregiudicati».
Prima di aggiornare l’udienza al prossimo 19 gennaio alle 9,30, il presidente Alfredo Sicuro ha accolto alcune richieste ex articolo 507, presentate dal Pm De Bernardo e da alcuni avvocati difensori.
In particolare, verrà acquisita la sentenza di primo grado col rito abbreviato dello stesso processo, un’informativa della Squadra Mobile – Reparto Criminalità Organizzata del Commissariato P.S. di Siderno (la numero 6 del 10 ottobre 2014) e, per informazioni sui rapporti parentali dell’imputato Cosimo Cherubino, saranno sentiti, sempre il 19 gennaio, il vice ispettore di Polizia Giuseppe Letizia (tra gli estensori dell’informativa acquisita nel corso dell’operazione “Bluff” per la quale Cherubino fu inquisito e successivamente assolto), il carabiniere Angelo Grisanti, il Sovrintendente di Polizia Giudiziaria Antonio Avena e l’agente di Polizia Fabrizio Russo.
Su richiesta dell’avvocato Antonio Speziali (difensore di Tavernese Rocco) verrà acquisito il decreto di idoneità del proprio assistito all’adozione internazionale «Ottenuto – ha detto – dopo che il Tribunale dei Minori acquisì le dovute informazioni da parte delle Forze dell’Ordine» e, su richiesta dell’avvocato Laganà (difensore di Cherubino) sarà escussa la signora Marilena Gravina, moglie di Mino Muià.
Tutto nell’udienza del 19 gennaio, che completerà l’istruttoria dibattimentale.
Il presidente Sicuro ha altresì abbozzato la road map della parte finale del processo, proponendosi il fine di giungere alla sentenza entro fine febbraio 2015.