DALLA DIOCESI DI LOCRI-GERACE RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO IL MESSAGGIO CHE SEGUE
“Per una civiltà dell’amore”
Anche quest’anno, la Commissione Giustizia e Pace, nel ricordare le vittime della violenza, desidera invitare tutte le parrocchie a riflettere su quanto ancora nella nostra società si registrino episodi di prepotenza fisica e verbale, che esprimono sempre di più da parte dell’uomo una volontà di dominio sugli altri essere umani, con conseguenze, per chi li subisce, che sarebbe inappropriato e riduttivo definire semplicemente dolorose.
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Tutto questo ci fa guardare con preoccupazione quanto avviene intorno a noi, senza però farci perdere la speranza e la tenacia di continuare ad essere costruttori di pace nei luoghi dove viviamo e operiamo.
Lo scorso anno ribadivamo come solo attraverso la preghiera e la mobilitazione delle coscienze è possibile dare un volto nuovo alla società e questo appello è oggi vivo più che mai. E proprio perché chiamiamo in causa ancora oggi, e lo faremo sempre, la mobilitazione delle coscienze, vogliamo quest’anno proporre un insegnamento importante che la Dottrina Sociale della Chiesa ci offre, con la speranza che ogni uomo possa meditare sulle proprie azioni e domandarsi se vive da uomo libero, promuovendo il rispetto della dignità altrui, quindi anche di se stesso, oppure da schiavo della violenza che impone all’altro, ma che rende egli per primo vittima del proprio orgoglio.
Nel compendio della Dottrina Sociale della Chiesa leggiamo che << di fronte alle gravi forme di sfruttamento e di ingiustizia sociale « si fa sempre più diffuso e acuto il bisogno di un radicale rinnovamento personale e sociale capace di assicurare giustizia, solidarietà, onestà, trasparenza. Certamente lunga e faticosa è la strada da percorrere; numerosi e ingenti sono gli sforzi da compiere perché si possa attuare un simile rinnovamento, anche per la molteplicità e la gravità delle cause che generano e alimentano le situazioni di ingiustizia oggi presenti nel mondo. Ma, come la storia e l’esperienza di ciascuno insegnano, non è difficile ritrovare alla base di queste situazioni cause propriamente “culturali”, collegate cioè con determinate visioni dell’uomo, della società e del mondo. In realtà, al cuore della questione culturale sta il senso morale, che a sua volta si fonda e si compie nel senso religioso ». Anche per quanto riguarda la « questione sociale », non si può accettare « la prospettiva ingenua che, di fronte alle grandi sfide del nostro tempo, possa esserci una formula magica. No, non una formula ci salverà, ma una Persona, e la certezza che essa ci infonde: Io sono con voi! Non si tratta, allora, di inventare un “nuovo programma”. Il programma c’è già: è quello di sempre, raccolto dal Vangelo e dalla viva Tradizione. Esso si incentra, in ultima analisi, in Cristo stesso, da conoscere, amare, imitare, per vivere in Lui la vita trinitaria, e trasformare con Lui la storia fino al suo compimento nella Gerusalemme celeste ». La Chiesa insegna all’uomo che Dio gli offre la reale possibilità di superare il male e di raggiungere il bene. Il Signore ha redento l’uomo, lo ha riscattato « a caro prezzo » (1 Cor 6,20). Il senso e il fondamento dell’impegno cristiano nel mondo derivano da tale certezza, capace di accendere la speranza, nonostante il peccato che segna profondamente la storia umana: la promessa divina garantisce che il mondo non resta chiuso in se stesso, ma è aperto al Regno di Dio. La Chiesa conosce gli effetti del « mistero dell’iniquità » (2 Ts 2,7), ma sa anche che « ci sono nella persona umana sufficienti qualità ed energie, c’è una fondamentale “bontà” (cfr. Gen 1,31), perché è immagine del Creatore, posta sotto l’influsso redentore di Cristo, “che si è unito in certo modo ad ogni uomo”, e perché l’azione efficace dello Spirito Santo “riempie la terra” (Sap 1,7) ».
La speranza cristiana imprime un grande slancio all’impegno in campo sociale, infondendo fiducia nella possibilità di costruire un mondo migliore, nella consapevolezza che non può esistere un « paradiso in terra ». I cristiani, specialmente i fedeli laici, sono esortati a comportarsi in modo che « la forza del Vangelo risplenda nella vita quotidiana, familiare e sociale. Essi si dimostrano come figli della promessa se, forti nella fede e nella speranza, profittano del tempo presente (cfr. Ef 5,16; Col 4,5) e attendono con perseveranza la gloria futura (cfr. Rm 8,25). E non nascondano questa speranza nell’interiorità del loro animo, ma con la continua conversione e la battaglia “contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male” (Ef 6,12) la esprimano anche nelle strutture della vita secolare ». Solo la carità può cambiare completamente l’uomo. Un simile cambiamento non significa annullamento della dimensione terrena in una spiritualità disincarnata. Chi pensa di conformarsi alla virtù soprannaturale dell’amore senza tener conto del suo corrispondente fondamento naturale, che include i doveri di giustizia, inganna se stesso: « La carità rappresenta il più grande comandamento sociale. Essa rispetta gli altri e i loro diritti. Esige la pratica della giustizia e soltanto essa ce ne rende capaci. Essa ispira una vita che si fa dono di sé: “Chi cercherà di salvare la propria vita la perderà, chi invece la perde la salverà” (Lc 17,33) ». Né la carità può esaurirsi nella sola dimensione terrena delle relazioni umane e dei rapporti sociali, perché deriva tutta la sua efficacia dal riferimento a Dio: « Alla sera di questa vita comparirò davanti a Te con le mani vuote; infatti non ti chiedo, o Signore, di tener conto delle mie opere. Tutte le nostre giustizie non sono senza macchie ai tuoi occhi. Voglio perciò rivestirmi della tua giustizia e ricevere dal tuo amore l’eterno possesso di te stesso… ».
Vogliamo pregare Dio perché il suo amore possa inondare il nostro cuore, perché possiamo vivere da persone libere e operare per la giustizia e la pace.
La Commissione Giustizia e Pace
Locri, 01-06-2014