di Gianluca Albanese
LOCRI – L’aula collegiale del tribunale di Locri è semideserta: oltre al collegio presieduto dal giudice Alfredo Sicuro (a latere Cosenza e Gerace) c’è il Pm della Dda di Reggio Calabria Paolo Sirleo, l’avvocato difensore Cosimo Albanese e una sua collega, un carabiniere in servizio e tre congiunti dell’imputato tra il pubblico.
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Eppure il processo che si sta celebrando è a carico di uno dei più grossi narcotrafficanti del mondo, il romano di origine ma sidernese di adozione Roberto “Bebè” Pannunzi.
Durante l’interrogatorio dei testi dell’accusa, che l’imputato sta seguendo in videoconferenza in quando recluso in regime di 41bis, si ricostruisce il romanzo criminale dell’uomo che riuscì nel corso della sua pluridecennale vicenda delinquenziale, a costruire rapporti di fiducia coi narcos colombiani, che dirigeva un gruppo di sodali pugliesi e siciliani che organizzavano viaggi di approvvigionamento di cocaina in nave, con gli accorgimenti paragonabili a quelli dei consumati tour operator, si racconta delle ingenti somme anticipate da Pannunzi (anche milioni di euro) per garantire la buona riuscita dell’affare, e di come, a volte, le cose non andavano per il verso giusto.
Come quella volta che, nel 2011 gli inquirenti riuscirono a comprendere che Pannunzi, insieme ai suoi sodali Salvatore Miceli, Salvatore Monreale, Salvatore Crimi e Stefano De Pascale, organizzarono un viaggio in nave per andare a ritirare un grosso quantitativo di polvere bianca in Sud America da piazzare nel mercato europeo.
Furono davvero bravi gli investigatori, perché il loro compito non era facile. Molti dei sodali di Pannunzi (tra i quali il figlio Alessandro), infatti, facevano di tutto per non farsi beccare: De Pascale, addirittura, cambiava una sim card e un telefono cellulare ogni quindici giorni, molti usavano le vecchie cabine telefoniche, e poi, parlando dei loro sodali, non li chiamavano mai per nome, ma per soprannome.
Solo che una volta, al “gentiluomo”, al “biondo”, al “piccoletto” e a “lupin”, le cose andarono male.
Già, perché tre anni fa l’ex steward dell’Alitalia Bebé Pannunzi organizzò un viaggio in mare con una grossa nave partita da Napoli, per andare a prelevare la droga in Colombia e farla attraccare al largo delle coste catanesi.
Anticipò parecchi soldi, e al telefono si lamentò col figlio dicendo che «Questi siciliani non vogliono mettere mai niente», alludendo ai suoi sodali del Trapanese.
Ma nonostante l’organizzazione apparentemente impeccabile, qualcosa andò storto, tanto che le intercettazioni hanno captato un dialogo tra Crimi e De Pascale, in cui il primo riferisce al secondo che la nave è andata a picco.