di Gianluca Albanese
LOCRI – 24 ore dopo l’assemblea cittadina del Pd di Locri non possiamo esimerci dal compiere alcune considerazioni su alcuni contenuti emersi, e sul sostanziale armistizio tra le due fazioni che dopo tantissimo tempo si sono confrontate. Ma soprattutto sulle incongruenze emerse.
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Sarà per l’estrazione politica dei principali maggiorenti del partito. Sarà che certi confronti ricordano quelli tra le vecchie correnti della fu Democrazia Cristiana, quando ci si faceva la guerra e la si sospendeva per momentanei armistizi, magari dettati dalle contingenze del momento fino al punto di rinnegare quello che si era detto fino al giorno prima. Per pura convenienza o, come si suol dire in questi casi, per ragioni di opportunità politica.
E così, Pino Mammoliti, che l’anno scorso di questi tempi era andato da Rosy Bindi -sì, proprio da lei – per chiedere il commissariamento del circolo di Locri, una volta ottenuta la convocazione dell’assemblea si è affrettato a dire, come ha riportato la nostra Francesca Cusumano, che non vuole la sfiducia del segretario Fortugno. Potenza della diplomazia, arma che si sfodera sempre volentieri prima di una competizione elettorale importante come quella delle Regionali e soprattutto prima della composizione delle liste.
Ma tant’è.
Fortugno, poi, in almeno due occasioni, non ha offerto il meglio di sé stesso.
Lo ha fatto nel momento in cui, a chi gli chiedeva lumi sulla presa di distanza rispetto al gruppo consiliare “Impegno e Trasparenza-Pd”, espressa in una nota ad hoc diffusa agli organi di stampa, ha detto che «L’articolo – semmai il comunicato stampa, aggiungiamo noi – è opera dei giornalisti». Un malcostume, quello di chi se la prende con i giornalisti invece che assumersi in prima persona la responsabilità di quello che si dice e si scrive, molto comune a certi politici meno brillanti e coraggiosi di altri, come testimoniano alcuni esempi recenti in loco. A parte il fatto che la nota stampa diffusa a suo nome era giornalisticamente perfetta e intelligibile – è stata redatta da un’agenzia di stampa composta da seri professionisti del settore -, ci chiediamo come mai, dopo la sua pubblicazione, non sia pervenuta né alla nostra redazione, né a quella delle altre testate destinatarie dell’e-mail, una nota di precisazione, o integrazione, rispetto al contenuto della stessa, o ai titoli con la quale è stata presentata. Noi, tra l’altro, l’abbiamo pubblicata integralmente, senza modificarne nemmeno una virgola. Mistero. Di sicuro non si può gettare fango sul lavoro di un’agenzia di stampa tra le migliori in Italia o su chi ha pubblicato e/o elaborato la nota. Se ne faccia una ragione, Fortugno. Per fortuna il mondo dell’informazione non è fatto solo da oscuri ghost-writer che lanciano il sasso e nascondono la mano, come lui dovrebbe sapere bene, ma da gente che fa questo mestiere con passione ed onestà intellettuale.
Diversa è la valutazione sulla lista di sottoscrittori della lista Tsipras alle recenti elezioni europee, sventolata da Fortugno durante l’assemblea di ieri, noncurante del diritto alla riservatezza di chi l’ha firmata. Tra questi ultimi c’era anche Teresa Celestino, membro dell’assemblea nazionale del Pd (e destinataria dell’attacco di Fortugno) che, presumibilmente per fare una cortesia a chi era impegnato nella raccolta delle firme, ha inteso aiutare dall’esterno chi lavorava per far in modo che una lista senza grandi apparati di partito alle spalle potesse partecipare alle elezioni, e aveva il pensiero di poter raccogliere un numero di firme sufficienti alla sua presentazione e, una volta presentata, arrivare al raggiungimento del quorum necessario a eleggere propri rappresentanti al Parlamento Europeo.
Sia ben chiaro, è irrituale che chi riveste un incarico di rango nazionale in un partito sottoscriva la richiesta di presentazione della lista di una formazione politica concorrente, e quindi le rimostranze di Fortugno, seppur supportate da metodi machiavellici, ci possono anche stare.
Resta da chiedersi come mai, nel 2007, Fortugno o i suoi familiari non esternarono analogo moto d’indignazione quando il loro congiunto Raffaele Sainato, fresco di revoca dall’incarico assessorile precedentemente conferitogli dal sindaco Francesco Macrì e che pochi mesi dopo aderì ai Popolari liberali per il Pdl di Gianni Nucera e Carlo Giovanardi, si candidò al numero quattro della lista “Democratici uniti”, in lizza alle elezioni per l’assemblea costituente regionale dell’Ulivo-Partito Democratico. Una scelta apparsa irrituale quella compiuta, allora, dall’attuale vicesindaco di Locri, che non è mai stato, a memoria nostra, un uomo di centrosinistra e che, invece, si candidò a quella competizione elettorale del tutto paragonabile alle attuali primarie del Pd.
Perché i Laganà-Fortugno non s’indignarono a suo tempo, stigmatizzando la questione di coerenza politica? E soprattutto, chi furono gli ispiratori della “strana” scelta compiuta, nel 2007, da Raffaele Sainato?