di Mario Nirta*
In una notte del 1817, gl’insorti di Macerata affissero un cartello con su scritto “Quando l’altissimo Iddio vuole punire i popoli, li consegna al governo degli imbecilli”. Ora non per sindacare la condotta di Dio, però bisogna pur dirglielo che con noi sta esagerando. Perché non solo ci ha abbandonato agli imbecilli di casa nostra, ma ce ne ha mandato persino qualcuno da fuori che, per la modica cifra mensile di diecimila euro e qualche spicciolo, ha rovinato una sanità, che già in coma per le precedenti gestioni, non aveva nessun bisogno del suo contributo per crepare del tutto. Ora non per non fargli concorrenza o per vantarmi, ma io, anche per la sola metà di quella cifra, avrei mandato in dissesto non solo la nostra sanità, ma anche quella delle altre regioni italiane, isole comprese e regioni autonome incluse. Intanto, mentre continuava la passerella dei tanti papabili a salvare la nostra sanità, senza che nessuno si degnasse di chiedere il nostro parere, noi stavamo lì a sfogliare la margherita, “accetta, non accetta”, fin quando uno di loro ha deciso, almeno per ora, di tentare. E ora la sola speranza è che Dio ce la mandi cattiva perché sinora ce l’ha mandata buona e siamo conciati così bene che per salvarci non bastano mille commissari, ma ci vuole un Messia, anche se è difficile scovarlo. Primo, perché su Gesù, il Messia per antonomasia, specie dopo che il papa ha svelato che non era pulito, c’è poco o nulla da contare; e secondo perché Gesù, pur avendo promesso di ritornare sulla Terra alla scadenza del primo millennio, non si è fatto vedere nemmeno alla scadenza del secondo perché quando uno vi è finito in croce, naturalmente non c’è più verso di farlo tornare nemmeno a piangere in greco e tanto meno in mantonico.
E, tutto sommato, è un bene perché a noi non serve un Messia come Gesù che con il suo porgi l’altra guancia, perdona chi t’offende, ama il prossimo tuo e perfino i tuoi nemici ecc…ecc… ha esortato a una rassegnazione che per noi è ormai un abito mentale. Macché, ce ne serve uno con un paio di parandrangoli da far invidia ad un toro e che, candidatosi alla presidenza della nostra regione, si metta ad urlare: “Calabresi, se vinco io e non cambiate testa, vi faccio un tarallo quanto pietra Kappa!” Così forse ci sveglieremo e cambieremo quelle idee che per tanto tempo non abbiamo avuto, abituati come siamo a sragionare con la testa degli altri. Tanto per fare un nome, la buonanima della Santelli, pace all’anima sua, non l’abbiamo scelta noi, ma Berlusconi, Salvini e la Meloni, un po’ la riedizione di Trivulu, Malanova e Scuntentizza. E se adesso ci troviamo con Sperlì, non abbiamo nessun diritto di lamentarci. Con ciò non voglio scrivere le solite fesserie del chi è causa ecc … ma di che ci lamentiamo se votiamo candidati, che sino a pochi mesi fa ragliavano da destra ed ora grugniscono da sinistra, che promettono di sanare le nostre piaghe di cui sono in larghissima parte responsabili? E poi ci piangiamo addosso e ci ritroviamo a starnazzare che non abbiamo strade, che i ponti vanno a catafascio, le fiumare entrano nei paesi e la sanità è uno sfacelo, contrastati in questo da un potere che, convinto che se noi schiattiamo di salute, tende a chiudere l’ospedale di Locri, che magari non sarà il massimo, ma grazie ad alcune eccellenze, è pur sempre rispettabile.
A questo punto altro che un Messia ci serve, ci servono tutti gli dei dell’Olimpo con contorno della dea Kalì, che avendo sette braccia, farebbe davvero una figuraccia a non darci almeno una mano. Ma a parte ciò, se ritornasse da noi un qualsiasi Unto del Signore, non gli chiederei di trasformare l’acqua in vino – sono troppo purista in certe faccende -, né di resuscitare i defunti, anzi lo pregherei di richiamarsi all’istante alcuni vivi, come Toti, il presidente della Liguria, che vuol morti gli anziani perché sono improduttivi, a dimostrazione che Dio con gli imbecilli non scherza nemmeno con la Liguria. Tornando a noi, al Messia chiederei solo alcuni miracoletti di poco impegno. Che ne so, siccome dava la parola ai muti, l’implorerei di toglierla ai retori da strapazzo che infestano le nostre piazze, promettendo ciò che sanno benissimo di non poter mantenere; dato che guariva gli storpi, lo pregherei di guarire la nostra sanità che è addirittura anchilosata. Ma il mio è un discorso inutile, cosciente come sono che la nostra disgrazia non risiede tanto nella mancanza di un Messia, quanto nell’averne avuti, e nell’averne, troppi. E tutti falsi.
*: scrittore