di Simona Masciaga
LOCRI – Sabato 12 settembre, nella corte del palazzo comunale di Locri, si è conclusa, con la presentazione del testo “Sulla scacchiera della vita” di Luisa Ranieri, edito da Città del sole, la corposa stagione culturale estiva della città di Locri.
L’evento, organizzato dal Comune di Locri in collaborazione con lo spazio culturale MAG “La ladra di libri” di Siderno, introdotto dall’assessore alle Politiche Sociali Domenica Bumbaca e moderato da Gianluca Albanese, è stato allietato dalla splendida e calda voce della musicista e cantante Rachele Mesiti accompagnata dalla chitarra del maestro Giuseppe Gulino; le letture di alcuni abstracts del testo sono state declamate, con chiara e giusta intonazione, da Francesca Forti, mentre gli approfondimenti tematici inerenti al testo hanno visto gli interventi dei docenti Giuseppe Giarmoleo e Ugo Mollica.
Se il tema dell’infanzia, nella letteratura contemporanea, è oggetto di rappresentazione convenzionale o idealizzante, atto a simboleggiare spontaneità e felicità destinato a scomparire col passare degli anni, nel testo di Luisa Ranieri ciò è ben diverso: non sono le cosiddette tranches de vie fisse nella memoria, ma sono i ricordi che rimangono nel cuore, dove anche il dolore è nelle cose ed è intimamente unito all’amore.
La Ranieri non apre il cassetto della memoria (uno a lei non basta!): apre direttamente il baule del suo trascorso con schiettezza, a volte cruda e impietosa nelle descrizioni, senza mistificazioni o abbellimenti che, se impiegati, avrebbero appiattito luoghi e personaggi sottraendone l’oggettività.
Lo sfondo narrativo vede Satriano, Locri e gli USA, un triangolo attorno a cui ruota l’intero testo; il tema dell’emigrazione è ricorrente sia per i viaggi compiuti dal nonno paterno a bordo dei grandi bastimenti verso le nuove terre, sia perché, parte della sua famiglia si è ormai trasferita negli USA (la stessa arricchisce il romanzo con una ricerca accurata sui grandi transatlantici e un dossier fotografico dei luoghi descritti), ma fulcro della narrazione rimane “il palazzo” di Satriano.
I piccoli riti familiari, gli episodi minimi della quotidianità, i gesti affettuosi, i rabbuffi, le paure, le passioni, i giochi d’infanzia e le parole di gergo domestico rigorosamente dialettali diventano “speciali” simboli d’appartenenza ad una terra, a una famiglia, a un popolo che, riascoltate o ricordate, evocano atmosfere incantate pur nel turbine di una storia fatta di povertà, emigrazione e disagio.
Vita vissuta come su una scacchiera dove bianco e nero si alternano a raffigurare il bene e il male e dove si sceglie se giocare d’attacco o arroccarsi in difesa, se essere re e compiere un passo solo delegando agli altri la difesa, se essere alfieri paladini, semplici pedoni o regine libere di muoversi in lungo e in largo…ma alla fine come nel film “Il settimo sigillo” di Ingmar Bergman, si gioca sempre con la morte.