di Patrizia Massara Di Nallo (foto fonte Wikipedia dell’antico Corso Garibaldi)
Oggi, agognato dai franchising dalle grandi aziende e dai grandi marchi soprattutto della moda e frequentato ad ogni ora del giorno e della notte per lo shopping o per una semplice passeggiata, ha mantenuto la sua connotazione architettonica, anche se è stato spesso oggetto di restilyng da parte delle varie amministrazioni comunali succedutisi negli anni, sia per quanto riguarda gli arredi che per quanto riguarda i lampioni di illuminazione così come per la famigerata plurisostituzione della pavimentazione che ha destato molti dubbi alimentando polemiche nella cittadinanza. Il piano stradale, infatti, ha subito interventi prima di modernizzazione, poi di sperimentazione con saggi in alcuni punti, ed infine di ricostruzione con le antiche pietre del basolato originario facente quest’ultimo parte delle poche vestigia rimaste del periodo post 1908. A voler , invece, risalire ancora più indietro nel tempo e precisamente alle origini del Corso, scopriremmo luoghi, dell’antica cinta muraria della Città, ora dimenticati.
L’antica strada consolare, infatti, che raggiungeva la città nella sua porta settentrionale, la porta Mesa, proseguiva all’interno della cerchia murata piegando verso occidente in corrispondenza dell’antica chiesa della Cattolica per poi risalire verso la piazza del Duomo e raggiungere la Porta di San Filippo a Meridione. Quella strada, larga meno di tre metri e riemersa recentemente negli scavi di piazza Vittorio Emanuele II (piazza Italia), venne cancellata dal piano di ricostruzione tardo settecentesco e sostituita da un tracciato rettilineo che ricongiungeva i siti delle antiche porte con una larghezza quattro volte superiore all’antico tracciato. Dalle regolari linee del progetto Mori nasceva, così, il Corso di Reggio che prese il nome di Corso Borbonio, lastricato successivamente con la pietra bianca di Macellari e definito architettonicamente dai palazzi signorili e dalle ampie piazze. Dopo la conquista garibaldina della città, nell’agosto 1861, il Corso venne naturalmente intitolato a Giuseppe Garibaldi. Negli anni successivi, l’espansione della città determinò dapprima il suo prolungamento verso Sud, oltre l’Orto Botanico, sino alla nuova stazione ferroviaria e successivamente verso Nord, oltre il Convento delle Benedettine sino al largo del Gelso Bianco. Tutti denominazioni di luoghi che oggi ci dicono poco, ma che ci lasciano conoscere ed immaginare una città in fermento architettonico e culturale.
A fine Ottocento sul Corso, illuminato dai primi lampioni a gas, si aprirono ritrovi e negozi, mentre nei primi anni del Novecento, invece, una nuova ricostruzione ne riqualificò l’immagine dettando canoni architettonici unitari per ogni isolato e ridisegnando le piazze che su di esso si affacciano ancora oggi: Piazza Vittorio Emanuele ospitò gli edifici amministrativi; Piazza Duomo, con la grande facciata della ricostruita Cattedrale, si arricchì di due quinte di alberi e di fronti architettonici unitari e la più piccola piazza Camagna venne ingentilita da due ordini di scale limitanti ed avvolgenti. Ai due poli estremi del Corso rimase collocata, a Sud, la grande piazza Garibaldi con la Stazione Centrale e, a Nord, la nuova piazza De Nava con di fronte palazzo Piacentini che ospitava il Museo. Sull’intero percorso del Corso Garibaldi i piani terreni degli edifici si trasformarono in eleganti negozi e ritrovi che ne hanno fatto il “salotto”della città con i suoi cosiddetti flâneurs e la loro abitudine, descritta e resa celebre dal poeta Charles Baudelaire in riferimento a Parigi, di vagare oziosamente senza fretta, senza meta e quasi senza scopo, all’infuori di quello precipuo dell’incontro con altri amici flâneurs.