di Antonella Scabellone
LOCRI- Tra impegni lavorativi e qualche hobby conducevano una vita pressoché normale. Niente che potesse far presagire a quello che poi sarebbe accaduto di lì a poco quando, nel 2010, nell’ambito di un’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia, sono finiti in manette. Parlano così, di amici e conoscenti, oggi imputati nel processo Recupero, alcuni testimoni chiamati a deporre questa mattina davanti al Tribunale penale di Locri.
Il primo ad essere interrogato è stato il ragioniere Mario Mora, responsabile della Italcementi, la società leader del gruppo a cui appartiene la Calcementi jonici s.p.a., storica azienda sidernese specializzata nella produzione di laterizi. Il teste, venuto a deporre direttamente da Bergamo a discarico di Correale Giuseppe, per richiesta della difesa dell’imputato rappresentata dall’avvocato Menotti-Ferrari, ha confermato l’impegno attivo di Correale, quale rappresentante sindacale Cisl dei lavoratori della Calcementi, all’epoca in cui lavorava per l’azienda. Mora ha riferito in particolare dell’impegno profuso dalla rappresentanza sindacale per mediare una controversia relativa alla riduzione del personale. Dalla sua deposizione è emerso inoltre che, durante il periodo in cui Correale ricoprì l’incarico sindacale, i lavoratori ricevettero un premio di risultato per l’aumento della produttività. Il teste, infine, su domanda dell’avvocato Giovanni Taddei, ha confermato che il dipendente Futia Giorgio fu licenziato nel momento in cui si seppe che era stato coinvolto nel processo penale in corso. Ha riferito dell’impegno sindacale di Giuseppe Correale anche Vincenzo Corsaro, segretario provinciale della Filca-Cisl, aggiungendo che “pur rappresentando i lavoratori Correale non andava contro gli interessi dell’azienda. Nello svolgimento delle sue funzioni-ha aggiunto- non ha mai assunto atteggiamenti di prevaricazione. Nessun dipendente Calcementi, tanto meno lui, è stato mai sospeso per motivi disciplinari”.
E’ stata poi la volta della difesa di Paolo Correale rappresentata dall’Avvocato Antonio Speziale, con l’audizione dei testi Antonio Caruso e Angelo Trichilo. Entrambi, dipendenti della Termosistem, la società di cui l’imputato era titolare, hanno fornito particolari su un edificio preso in comodato dall’azienda per uso deposito, sito in Siderno in via Passoleo, località ben nota per le piantagioni di canapa indiana sequestrate dalla magistratura. I testi hanno chiarito che le frequentazioni del personale della Termosistem in quella zona dipendevano esclusivamente da motivi di lavoro, essendovi li il deposito dove veniva continuamente caricata e scaricata merce.
Si è passati poi all’esame e controesame dell’ingegnere Sergio Lupis, convocato dall’avvocato Rocco Guttà a discarico di Costa Antonio. L’ingegnere, quale tecnico di parte, ha eseguito una perizia su 2 videoriprese delle forze dell’ordine risalenti al 9 aprile 2009 relative all’ abitazione di Antonio Costa evidenziando delle irregolarità, anche nelle procedure di trascrizione, dovute in particolare alla sfasatura di orari tra le due telecamere posizionate. Tale circostanza è stata confermata dal maresciallo Arturo Campa che ha ammesso che le due telecamere su casa Costa nell’aprile 2009 non erano sincronizzate. Su domanda dell’avvocato Giuseppe Oppedisano, per la difesa di Michele Costa, il maresciallo ha ammesso di non ricordare se sulla piantagione di canapa attribuita all’imputato vi fosse un pozzo per l’irrigazione.
Sulla falsa riga di quanto già dichiarato nel processo Crimine le deposizioni dei testimoni-cacciatori a discarico dell’imputato Antonio Figliomeni, alias il “Topo”, convocati dall’Avvocato Cosimo Albanese. Una serie di professionisti accomunati all’imputato dalla passione per la caccia che avevano come punto di ritrovo la bottega artigiana del calzolaio Vincenzo Fimognari, nel centralissimo corso della Repubblica a Siderno. Le testimonianze sono state tutte dello stesso tenore, tutte tese a dimostrare che Antonio Figliomeni era un uomo semplice, dedito al lavoro e alla famiglia, che conduceva una vita sobria e senza vizi, guidava un’utilitaria e non era mai stato visto in compagnia del mastro Giuseppe Commisso o di altri personaggi assurti alla ribalta mediatica per essere stati coinvolti in operazioni di polizia. Lo hanno detto praticamente tutti, dall’insegnante Salvatore Sgarlato, all’artigiano Giuseppe Morena, al veterinario Tobiolo Pezzano, fino all’odontoiatra Caridi. Particolarmente lunga è stata l’escussione del teste Sgarlato, che negli anni ’90 ha rivestito incarichi politici nel comune di Siderno con Domenico Panetta sindaco, storico avversario politico di Sandro Figliomeni, fratello del “Topo”. Sgarlato ha riferito di essere stato ospite varie volte a pranzo o a cena da Antonio Figliomeni per cui aveva, ed ha tuttora, una grande stima.“In settantacinque anni di vita-ha detto commuovendosi- è la prima volta che testimonio a favore di una persona, ma ho deciso di farlo perché lo sento dal profondo del cuore”. Il teste ha aggiunto che «Antonio Figliomeni ha sempre rispettato le mie scelte politiche, e, in ogni caso, la politica non ha mai influito sui nostri rapporti personali che sono sempre stati buoni. Io lo conosco come una persona onesta. Se la notte aveva un’altra vita non lo so». Dello stesso tenore la testimonianza del veterinario Pezzano, nel cui studio Figliomeni portava a curare i propri cani; dell’odontoiatra Caridi, anch’egli cacciatore,così come Giuseppe Morena, che oltre a quella della caccia ha confermato un’altra passione di Figliomeni, quella calcistica per la juve. “Solo quando si parlava di calcio si alterava-ha detto- per il resto era una persona normalissima”.