di Patrizia Massara Di Nallo ( Foto UniSR)
I Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione, denominati D-NA, si manifestano con una alterazione persistente del comportamento alimentare con conseguenze molto gravi sulla salute fisica e mentale. Questi disturbi manifestano sia un’eccessiva preoccupazione e controllo per il peso e le forme corporee sia una distorta percezione dell’immagine corporea. Queste comuni caratteristiche, alterando lo stato nutrizionale e psicologico,possono danneggiare la salute fisica e psicologica dei soggetti che ne soffrono per le condotte alimentari disfunzionali che comportano quali la mancata risposta allo stimolo di fame/sazietà, la restrizione alimentare, l’eccessivo consumo di cibo, la perdita di controllo, l’utilizzo di strategie di compensazione.
Quando si parla di disturbi alimentari, si pensa prevalentemente ad anoressia e bulimia quando in realtà, è da tempo che esistono e sono stati individuati altri disturbi come l’ortoressia, la bigoressia o vigoressia e l’ARFID. L’ortoressia è una sindrome nervosa, caratterizzata dall’ossessione di un’alimentazione sana, che spinge ad eliminare gruppi di cibi essenziali per una dieta equilibrata, cioè è l’ossessione per il cibo sano. La bigoressia o vigoressia, detta anche ‘dismorfia muscolare’ o ‘complesso di Adone’, è definita nel Manuale diagnostico e statistico come una distorta percezione del proprio corpo che scatena la preoccupazione ossessiva che questo non sia abbastanza muscoloso, con una conseguente compulsione all’esercizio fisico, quindi è una fissazione per lo sviluppo muscolare. L’ARFID, acronimo di avoidant/restrictive food intake disorder, è il disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo, che porta a evitare certi alimenti per paura di sentirsi male. Si esprime o con l’evitare di mangiare, una sorta di disinteresse, scarso appetito, o escludendo dei piatti sulla base del loro aspetto, odore, sapore, o ancora per la paura di avere reazioni negative dopo il pasto tipo vomito, soffocamento, reazioni allergiche. E’ereditaria in 8 casi su 10 secondo lo studio condotto dalla dottoressa Lisa Dinkler del Karolinska Institutet in Svezia ricorrendo,come è consueto per le indagini legate alla genetica,a dati sui gemelli: sia identici sia fraterni.
In Italia, secondo l’Istituto Superiore di Sanità, più di 3 milioni di persone soffrono di un disturbo alimentare e di queste l’80% sono donne, anche se il numero di uomini coinvolti è in aumento. Inoltre, l’età media di esordio dei disturbi si sta abbassando tanto che oggi si vedono casi già a 8-9 anni. L’anoressia nervosa ha il tasso di mortalità più alto tanto che si stima, infatti, che tra il 5% e il 10% delle persone che ne soffrono non sopravvivano alla malattia, mentre la bulimia e il binge eating, invece, aumentano il rischio di obesità, diabete e malattie cardiovascolari, con un impatto importante sulla qualità della vita.
I fattori di rischio sono molteplici e possono dipendere dalla genetica, familiarità, aspetti temperamentali, caratteristiche personali, pressione sociale, aspetti traumatici, ansia e depressione. Infattistudi gemellari e di genetica quantitativa dimostrano che la biologia può influire fino al 50-80% nello sviluppo dell’anoressia. Molti sono i segnali che vengono sottovalutati o scambiati per “normali abitudini”ed, invece, si tratta di campanelli d’allarme non ignorabili. Essi sono: Ossessione per il cibo, le calorie o l’attività fisica – Isolamento sociale, rifiuto di mangiare in compagnia – Perdita o aumento di peso improvviso – Sensazione di colpa o ansia legata ai pasti. A questo punto occorre parlarne e rivolgersi ad uno specialista.
Secondo l’ISS e la SIRIDAP (Società Italiana di Riabilitazione Interdisciplinare Disturbi Alimentari e del Peso), le strategie migliori per prevenire sono: Educare a un rapporto sano con il cibo e quindi niente diete estreme o demonizzazione di certi alimenti – Evitare body shaming e stereotipi tossici legati al corpo – Favorire il supporto psicologico, specialmente tra adolescenti e giovani adulti. I D-NA, inoltre, non colpiscono solo chi ne soffre, ma anche l’intera società per i ricoveri ospedalieri, le difficoltà nel lavoro e nelle relazioni e un carico emotivo pesante per le famiglie. Proprio per questo motivo le istituzioni, le università e le associazioni lavorano insieme per diffondere informazioni corrette e facilitare l’accesso alle cure. Il primo passo per il cambiamento è la consapevolezza per cui se si vuolesaperne di più o si ha bisogno di aiuto, ci sono centri specializzati pronti a supportare il paziente considerando che nella nostra società parlare di disturbi alimentari non indica debolezza, ma un atto di coraggio.
(Fonti: UniSR Prof. Ogliari- Fond. Veronesi)