di Enzo Romeo (foto fonte Vatican News)
Il Referendum dell’8 e 9 giugno scorsi ha registrato la presenza alla urne di 14 milioni di italiani. Poco più di 13 milioni hanno votato, esprimendosi con i cinque si ai quesiti referendari. Il quorum non è stato raggiunto, esito che, chiaramente, rafforza la maggioranza e il governo, i quali sul referendum, attraverso i loro leader, ben poco, seppur legittimamente, si sono spesi.
Dunque i promotori, il segretario della CGIL, Maurizio Landini, in testa, hanno perso. Tuttavia i milioni di persone che hanno votato si – milioni ribadisco, non pinzillacchere – hanno rappresentato e rappresentano un orientamento importante, del quale si deve tenere conto. Pertanto alla domanda posta a Landini circa una sua decisione di dimettersi e alla quale domanda il leader sindacale ha risposto che non ci pensa nemmeno, dobbiamo fare seguire una semplice riflessione. Tanti milioni d’Italiani che sono andati a votare, pari al 30 per cento degli aventi diritto, prescindendo da come abbiano votato, meritano rispetto. E merita rispetto la verità che emerge dal loro pronunciamento.
Landini ha ragione: i milioni di si possono essere la base di un ulteriore impegno in direzione dei cambiamenti richiesti, attraverso i cinque quesiti referendari. Può essere, insomma, un nuovo inizio. Ma è anche ipotizzabile che un cambiamento serva. Mi riferisco alla possibilità che una modifica tecnica dell’istituto in questione vada concepita. Così come è, infatti, sembra non avere appeal.
E poi un suggerimento. Confrontandomi con la gente, vien fuori una esigenza quasi banale. L’impostazione dei contenuti dei quesiti talvolta è astrusa. Gli stessi dovrebbero essere più semplici e più diretti. In una parola: facili. La comunicazione e la promozione ne gioverebbero.