di Enzo Romeo
Giornalisti di razza? L’espressione mi è rimbalzata da una intervista nella quale, ovviamente, c’era una persona che intervistava ed un’altra che rispondeva alle domande. Il dialogo, se ricordo bene, verteva esclusivamente sulla comunicazione e sul giornalismo, con una sottolineatura, appunto, sui giornalisti di razza. E venivano citate figure da accostare alla definizione. Mai esercizio di logica fu più sbagliato, e non mi capacito di come sia potuto, così platealmente, accadere.
Giornalisti di razza? Ma si ha idea di cosa contenga e di cosa rappresenti questa locuzione? Credo di no, altrimenti non si spiega questa abbondanza di elargizioni qualificative, che stridono con la realtà.
Il problema ulteriore è che coloro che sono stati definiti giornalisti di razza abbiano finito col credere seriamente che fossero dei fuoriclasse. E lo dimostrano, anche con una certa postura e un incedere da Red Carpet. Senza cattiveria, ma ammetto ironico sconcerto, i destinatari di tante lodi si convincono, al punto che immaginano nuove idee professionali, di proporzioni esagerate. Purtroppo, non percepiscono la loro improbabilità e non captano nemmeno l’inconsistenza delle idee proposte.
Non ho intinto, voglio ribadire, la tastiera del computer dentro una piscina di arsenico, questo lo garantisco, non sono il tipo, ma un punto di fermezza su una superficialità sempre più espansa e su una sfrontatezza inqualificabile va messo. Ho 44 anni di gavetta tra stampa scritta, radio-televisiva, on line, uffici stampa e direzioni di comunicazione, credete che non sia in grado di percepire un tot di qualità? Lasciamo anche perdere la gavetta che, peraltro, proseguendo da quasi nove lustri, dimostra, se non proprio scarsezza, il mio status di umile scriba di provincia, ma da lettore, spettatore, ascoltatore, eccetera, eccetera, saprò distinguere bravura da non bravura? La risposta e si, e aggiungo, secondo parametri di normalissima intelligenza. A ben riflettere, siamo capaci tutti, addetti e non addetti ai lavori, di discernere. Penso, pertanto, di poter asserire che per arrivare a definire qualcuno giornalista di razza ce ne voglia. Ai fatti, però, ci troviamo di fronte a patenti riconosciute per simpatia, per convenienza spicciola o proprio per incompetenza, come nel caso dell’intervistatore di cui ho scritto nell’ incipit di questo pezzullo.
E cosa si può fare? Niente, che vuoi fare? Ogni tanto ci sarà qualche intervento come questo che susciterà un po’ di rumore che, a sua volta, diventerà occasione di dibattito indignato – si agiteranno gli improbabili, siatene certi – e che si concluderà come la classica tempesta in un bicchiere d’acqua. Sapete che c’è? C’è che non esistono più limiti al cattivo gusto e al decoro, tranne quando, per porre paletti di comodo e di protezione di miseri orticelli, serva censurare e sbandierare, strumentalmente, principi e valori.
Vedete, nella comunicazione, non solo nello specifico del giornalismo, oltre alle “prime firme”, ci sono tante persone che, pur non eccellenti, si impegnano con entusiasmo e passione. Alcune si dilettano, altre sono convinte, sorridiamo tutti benevolmente, di avere talento. In questi casi siamo di fronte, passatemi l’espressione, a peccati veniali. Per intenderci, niente di inquinante o di irreversibilmente dannoso. Questi colleghi vengono derisi (alle spalle) e rimbrottati, come se fossero essi il problema principale. In realtà non cacciano e non portano. Non aiutano, è vero, l’eccellenza, ma si sa perfettamente che le emergenze, queste si da indignazione, sono da riferirsi altrove, con buona pace dei cosiddetti “giornalisti di razza”.