di Patrizia Massara Di Nallo (foto fonte web)
Diverse sono le opinioni riguardanti l’origine dell’industria serica in Calabria. Secondo alcuni storici furono gli arabi ad introdurre la coltura della seta in Sicilia nei secoli IX e X e Palermo sarebbe stato il primo centro di produzione siciliano. E quasi contemporaneamente in Calabria, Catanzaro, colonia bizantina, sviluppò la coltivazione del gelso e del baco, portata dall’Oriente. Comunque non è possibile stabilire con esattezza se la coltura si irradiò dal Mezzogiorno ad altre parti d’Italia o se si sviluppò, sempre per l’influenza orientale, in varie parti d’Italia contemporaneamente.Sappiamo che il baco da seta, trasportato dalla Cina da monaci basiliani, arrivò in Calabria in epoca bizantina tra la fine del IX e l’inizio del X secolo, insieme all’introduzione della coltivazione del gelso bianco, più adatto di quello nero al nutrimento dei bachi. Per la sua posizione geografica la nostra terra fu molto favorita nell’acquisizione di nuove tecniche e congeniale soprattutto per il clima e l’ambiente allo sviluppo dei bachi. Con i Normanni e precisamente con Ruggero II (1095-1154) ebbe inizio il perfezionamento della tessitura serica. praticato prima solo in ambito ristretto e familiare. Alla fine del XII secolo la produzione calabrese cominciò a guadagnare i mercati italiani anche perché tra il XII e il XIII secolo giunsero a Catanzaro mercanti amalfitani e siciliani che diedero un impulso maggiore al commercio del prezioso tessuto. Tra il 1200 e il 1250 Federico II di Svevia (1194-1250) incrementò l’economia calabrese istituendo a Reggio la Fiera della seta, che si svolgeva annualmente ed era visitata dai mercanti di tutta Europa. Reggio rappresentava il principale mercato di tutta la Calabria per l’esportazione sia della seta grezza che della lavorata verso la Sicilia e la produzione favoriva il lavoro femminile, spesso anche di donne di alta posizione sociale. Infatti le famiglie di Reggio erano dedite all’attività da aprile a luglio e comunque ricavavano un reddito consistente pur in un limitato periodo lavorativo. Nel XIV e nel XV secolo sempre a Reggio confluivano olandesi, spagnoli, veneziani, genovesi per comperare la seta e a Catanzaro si teneva la fiera di Santa Chiara che durava 15 giorni. Una diffusa notizia storica riporta che nello stesso periodo, e precisamente nel 1397, Catanzaro, per gratitudine per l’esenzione di alcune tasse sulla tintoria, donò a re Ladislao un damasco verde stellato d’oro. Durante la dominazione angioina, intorno al XV secolo, artigiani catanzaresi furono chiamati a Tours per insegnare l’arte ai francesi e durante la dominazione aragonese, nel XVII secolo, ci fu un fiorire dell’arte sempre più notevole. Nel 1519 Carlo V (1500-1558) nominò Catanzaro, che era divenuta il centro di produzione serica più importante della regione, consolato dell’arte della seta con il precipuo compito di controllare il prodotto destinato ai mercati esteri. Inoltre l’imperatore promulgò degli statuti che precedettero di otto anni quelli di Firenze: i Capitoli, Ordinationi et Statuti dell’Arte della Seta. La fortuna maggiore della seta calabrese si ebbe fino alla fine del XVII secolo, quando Lione, con l’intervento di maestranze soprattutto calabresi, divenne essa leader nel campo della creazione dei tessuti preziosi. Comunque, secondo alcune fonti, tra il 1300 e il 1700 fu considerata Catanzaro la capitale europea della seta per la gelsibachicoltura e nella stessa città fino al 1770 si continuò a produrre il damasco catanzarese, il tessuto più pregiato dell’epoca insieme con il velluto, ed anche tutti i pizzi e i merletti destinati al Vaticano.
Nel periodo vicereale spagnolo, dal XVI secolo all’inizio del XVIII secolo, l’aumento delle tasse del settore e la più organizzata industria straniera fecero in parte decadere i setifici e nel XVII secolo la crisi arrivò a colpire molte aree dell’Italia per una generale carenza di innovazioni tecnologiche. Solamente nel 1780 il governo del Regno di Napoli intervenne fondando a Villa San Giovanni la prima scuola-opificio per l’aggiornamento tecnologico, finanziata dalla famiglia Caracciolo. E sempre a Villa fu un Regio permesso del 1792 che diede l’opportunità a Rocco Antonio Caracciolo di avviare la prima filanda, in zona Fontana Vecchia. Ne seguirono poi altre e si arrivò a 56 filande dislocate tra Villa, Pezzo e Cannitello. Nel 1847 Villa contava già 44 filande a conduzione familiare e dopo la meccanizzazione e l’uso delle caldaie a vapore si diede un nuovo impulso all’attività tantochè sia imprenditori settentrionali che stranieri, come il milanese Adriano Erba e gli inglesi Thomas Allam ed il nipote Edward J. Eaton, decisero di investire sul territorio e la cittadina si guadagnò il soprannome di “piccola Manchester”. La Calabria, quindi, da produttrice di seta finita si trasformò in un grande mercato di seta grezza che veniva in seguito lavorata nelle fabbriche genovesi e fiorentine. Nella prima metà dell’Ottocento, soprattutto nel Reggino, si verificò un incremento di strutture produttive (e di conseguenza della produzione) in grado di attrarre anche la materia prima proveniente dalle altre due province calabresi. Attraverso il porto di Messina la seta calabrese giungeva in Francia, in Gran Bretagna e persino negli Stati Uniti d’America tantochè intorno al 1850 molti coltivatori, per abbattere i costi, chiesero la licenza di poter costruire filande vicino alle proprie abitazioni. Si passò quindi dall’artigianato domestico delle singole imprese familiari all’avvento di stabilimenti, appunto le filande. Infatti Edward Lear nel 1847 ne avvertiva il singolare odore giungendo nel “palazzo dei bozzoli” a Staiti, dove i bachi da seta erano “la vita e l’aria, il fine e la materia” dell’intero villaggio. Pertanto nel 1860 si contavano nel territorio reggino circa 120 filande con 1200 addetti dei quali la maggior parte donne. Reggio,Villa San Giovanni, Cannitello, Bagnara, Catona e numerose altre piccole località del Reggino, si trasformarono in centri con numerosissime strutture produttive (a Catona le filande si accalcavano l’una sull’altra) dove avveniva anche la trattura (operazione che permette di ricavare il filo di seta dal dipanamento dei bozzoli del baco da seta). Come riportato in alcuni documenti storici, i filati calabresi erano apprezzati all’estero per la loro “esattezza e solidità” e “sostenevano in Lione ed in Londra il paragone colle più belle sete di Santo Leucio e del Piemonte” e la zona reggina, in particolare,si specializzò in un filato, l’“organzino”, molto richiesto sui mercati stranieri. Quindi Villa, che in quel periodo veniva comunemente chiamata anche Città della Seta, nel XIX secolo venne proclamata scuola reale della seta. Si constatò però che la produzione calabrese non era competitiva rispetto a quella piemontese e lombarda a causa del sistema antiquato di lavorazione. Allora per abbassare il costo della produzione furono adottate macchine più nuove e le attività imprenditoriali si trasformarono in industrie: sorsero a Cosenza un filatoio di seta organzina con macchine a vapore, a Villa S. Giovanni una filanda a vapore e a Catanzaro, precisamente a Folino ed a Primicerio,due fabbriche di seta organzina e anche tante altre industrie in località minori. In una filanda la presenza femminile era del 93-95%, perchè le varie fasi dell’attività complessiva (la spelaiatura,la cernita, il trasporto delle ceste di bozzoli dalla bozzoliera alla filanda, la filatura e la finitura delle matasse), era stata da sempre appannaggio delle donne nell’ambito familiare, mentre gli uomini, presenti in minima percentuale, avevano compiti di manutenzione dei macchinari e di contabilità. In quello stesso periodo divennero famosi due metodi per la filatura, quello detto alla Piemontese e quello detto alla S. Giovanni. Inoltre peculiarità della Calabria era la tintura di stoffe e filati con una colorazione vegetale, che viene riproposta ancora dall’industria di oggi. La Calabria sapeva creare stoffe molto apprezzate per colori e per disegni tantochè i commenti della stampa del tempo erano tutti positivi:“come i ricami, le frange di Nicastro, dove le avvincenti fluidità dei fili intrecciati si stendono con piacevoli morbidezze, ogni opera, anche la più umile, offre qualche grazia…” Dopo l’Unità d’Italia il commercio si mantenne di notevole entità, rimanendo attivo fino al periodo tra le due guerre mondiali. Successivamente, per il cambiamento degli scenari politici e di conseguenza commerciali e soprattutto per la supremazia di nuove tecnologie straniere, la produzione e la lavorazione della seta in Calabria subirono un inesorabile e completo declino. Ancora oggi possiamo ammirare un esempio dell’antica arte serica, sviluppatasi in Calabria nel corso dei millenni, ammirando i costumi femminili tradizionali nei quali si perpetua, quale silente e fantasmagorica testimonianza, l’uso dei cosiddetti vancali (scialli di stoffa colorata, tessuti a mano,che vengono usati per coprire testa e spalle delle donne). A Villa S. Giovanni esiste ancora la Fontana Vecchia, dove Rocco Antonio Caracciolo decise di avviare la prima filanda ed si può ammirare anche la filanda Lo Faro e la filanda Cogliandro, piccolo museo della seta. Questi stabilimenti di produzione serica ricalcando lo stesso stile architettonico, il cosiddetto modello “Manchesteriano,” sono caratterizzati da una costruzione a pianta rettangolare in mattoni pieni con alti finestroni e tetto spiovente coperto da tegole in cotto.
(Operaie nella filanda – foto fonte web)
(filanda Villa San Giovanni – foto fonte web)
Oggi a Mendicino (CS) vi sono due antiche filande ristrutturate e trasformate in Museo quali esempi di archeologia industriale e inoltre il ricordo dell’antica tradizione dell’arte serica ha motivato nuove generazioni di imprenditori a riprendere e perpetuare un’arte così difficile e affascinante. Infatti nel 2014 a San Floro (CZ) , un piccolo centro di poco più di 700 anime, tre ragazzi, Miriam Pugliese, Giovanna Bagnato e Domenico Vivino, hanno costituito la cooperativa Il Nido di Seta e hanno riavviato la bachicoltura e la produzione del filato di seta. Essi hanno voluto unire le loro esperienze accumulate all’estero con la tradizione locale, nel desiderio di recuperare e rivalutare un patrimonio culturale di tutti i Calabresi. E i risultati non si sono fatti attendere, perché la famosa Maison di moda Gucci ha loro commissionato la produzione del primo foulard, totalmente italiano, del pregiato filato. Dopo aver acquistato una proprietà comunale, questi imprenditori hanno utilizzato circa cinque ettari di terreno con tremila gelsi. E’ stata quindi creata una filiera benemerita per il coinvolgimento anche di manodopera locale e soprattutto per l’impegno nel riproporre un’arte antica mantenendo inalterate alcune particolari tecniche: la tintura dei tessuti avviene, come un tempo, con pigmenti naturali del territorio, come la cipolla di Tropea, l’uva di Cirò, le radici e i fiori e si sono mantenuti esclusivamente i telai manuali. Inoltre è stato anche allestito un museo all’interno del quattrocentesco castello sito nel centro storico di San Floro. Il museo, dinamico e interattivo, permette al visitatore di conoscere gli antichi strumenti della tradizione artigianale e agricola calabrese ed anche la possibilità di cimentarsi nella tessitura e nei segreti delle tinture naturali. I laboratori didattici all’interno del museo permettono ai bambini e ai ragazzi la conoscenza della gelsibachicoltura e corsi annuali permettono inoltre la trasmissione del sapere di quest’antica arte. La lavorazione dei tessuti con l’uso del telaio manuale è stata recentemente ripresa anche dalla cooperativa Aracne di Gerace, attraverso la realizzazione delle tradizionali lenzuola di seta, lino e cotone. La stessa cooperativa ha ripreso la produzione della seta con un piccolo allevamento di bachi che permette di ottenere qualche chilo di filato all’anno. Idee e progetti concretizzatisi grazie alla tenacia di lungimiranti imprenditori ai quali tutti guardiamo con rinnovato orgoglio territoriale e gratitudine per aver tratto fuori dall’oblio e portato all’attenzione delle vecchie e nuove generazioni un laborioso passato fatto di eccellente maestria artigianale e artistica: l’arte serica calabrese.