Gradazioni libere, dal mio caro ermo colle
di Rosario Rocca
Mentre scrivo, apprendo dal bollettino della Protezione Civile che solo oggi sono morte 627 persone di coronavirus. Un numero drammatico d’italiani che partiranno, ancora, in anonimi feretri; di anziani consumati nella loro nuda fragilità, senza il conforto degli affetti più cari, senza una lacrima, un sorriso di addio di una figlia o di un nipote. Sento una gran pena per le loro agonie, e per i loro sogni. Proprio adesso il parroco dall’altoparlante della chiesa, a pochi passi da casa mia, ha intonato un canto dedicato alla Madonna tanto cara ai miei paesani, sembra voglia diffondersi per consolare la nostra Italia. E’ una nenia dolce e antica, le parole sono di speranza. E allora penso che presto tornerà il maggio odoroso. Dopo la nottata più buia, si annuncerà con le sue ortensie e i suoi papaveri rossi. Perché le stagioni, come i fiori del resto, anche in tempi di pandemia, sono cicliche. E ci risveglieremo innamorati. Come capita, a volte, in quei matrimoni lunghi e affaticati da incomprensioni, compassioni reciproche e qualche svogliata carezza, quando a un certo punto accade qualcosa di così forte da riaccendere una passione lontana e dimenticata. Insperata, ormai. E sarà bellissimo. Perché mai, di questa Italia, ne avevamo ammirato del tutto la bellezza. Ce ne siamo innamorati mentr’era sofferente, intubata in un reparto di terapia intensiva, segnata profondamente sui volti stanchi e provati delle sue infermiere. Quando dal suo balcone l’abbiamo sentita cantare. Nei giorni che verranno, sono certo che non la tradiremo più con i nostri volgari egoismi regionali, con odi di partito o colate di cemento inutile che tanto offende i suoi paesaggi. Ce ne prenderemo cura. Come degli italiani veri. E innamorati.