Gli ermellini della Suprema Corte di Cassazione si sono ispirati alla “Magna Charta” costituzionale italiana, e nello specifico all’articolo 36 che testualmente recita che “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”, ragion per cui, con la decisione n. 27711/23 – chiaramente destinata a fare storia! – la retribuzione di un lavoratore può anche essere fissata dai tribunali. L’esecutivo centrale romano si sveglierà dal sonno soporifero in cui è caduto? Le opposizioni prendono ossigeno e gongolano.
di Antonio Baldari
Un uno-due degno del miglior Cassius Clay! Un gancio destro-sinistro che, in così poco tempo, non si osava neanche lontanamente immaginare, ed è quello che i giudici italiani hanno rifilato al governo in carica guidato da Giorgia Meloni, in primis con il togato di Catania che ha rimesso in libertà un migrante in stato di detenzione giacché non pagante i 4938,00 euro in attesa di avere il via libera dalle autorità competenti e, pochi giorni fa, stabiliti dal decreto legge istituente i Cpr, ossiano i Centri di permanenza per i rimpatri: un provvedimento che ha lasciato “basita” la stessa presidente del Consiglio per una compagine di governo che ha già fatto comunque sapere di volere impugnare tale provvedimento giuridico.
Ma è della tarda serata di ieri un secondo schiaffo, definiamolo così, stavolta provenienti dagli ermellini della Corte di Cassazione che sono entrati nel merito dell’ormai nota querelle relativa al cosiddetto “salario minimo”, di cui tanto si è discettato nelle settimane scorse; ed invero, il “Palazzaccio” ha inteso entrare nel merito del dibattito politico-sindacale arrivando a sancire che “Il salario minimo andrà ad essere stabilito dalla sentenza di un giudice”, che quindi, da oggi, può decidere di fissare il giusto stipendio.
Ed in tal senso i giudici della Suprema Corte si sono ispirati alla “Magna Charta” costituzionale italiana, e nello specifico all’articolo 36 che testualmente recita che “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”, ragion per cui, con la decisione n. 27711/23 – chiaramente destinata a fare storia! – la retribuzione di un lavoratore può anche essere fissata dai tribunali.
Che dovrebbe, a questo punto, svegliare dal torpore il Governo centrale romano evidentemente caduto in un sonno istituzionale soporifero, avendo preso del tempo confidando che ci si potesse prendere del tempo inerente la questione de quo, un atteggiamento tipicamente italiano per dire “Poi si vedrà”, ed invece i giudici di Cassazione hanno giocato d’anticipo giocando al contempo un brutto tiro all’esecutivo in carica che, chiaramente, adesso non può fare a meno di non considerare la questione definendola dal punto di vista politico. Con le opposizioni che hanno preso ossigeno da tutto ciò, gongolando.