di Gianluca Albanese
SIDERNO – Cinque mesi di arresti domiciliari per il capogruppo di un partito di maggioranza in consiglio regionale e per un maresciallo della Guardia di Finanza trascorsi senza alcuna esigenza di custodia cautelare, stante la “palese inconsistenza delle ipotesi di accusa” del reato di tentata corruzione, e la “irrilevanza anche degli stessi elementi desunti dalle prove inutilizzabili e che, però, ben si possono considerare in favore dei ricorrenti”.
E’ quanto si evince dalle motivazioni della sentenza numero 15724 emessa lo scorso 18 dicembre dalla sesta sezione della Corte di Cassazione (Presidente Andrea Tronci, relatore Pierluigi Di Stefano) con la quale è stata revocata la misura degli arresti domiciliari a carico di Sebastiano, detto “Sebi” Romeo, ex capogruppo del Partito Democratico in consiglio regionale (difeso dagli avvocati Natale Polimeni e Armando Veneto) e del sottufficiale delle Fiamme Gialle Francesco Romeo (difeso dall’avvocato Maria Nisi Loris).
Nessun rapporto di parentela tra i due. Solo un contatto, peraltro rilevato da intercettazioni telefoniche su un cellulare in uso a Sebi Romeo (poi risultate inutilizzabili in quanto non collegate a procedimenti basati su accuse di reati associativi di criminalità organizzata), in virtù del quale prima il Gip del Tribunale di Reggio Calabria (il 26 luglio) e poi il Tribunale del Riesame di Reggio Calabria (con ordinanza del 16 agosto 2019) disponevano per entrambi la restrizione agli arresti domiciliari.
Cinque mesi in cui uno dei politici calabresi più influenti doveva, giocoforza, rinunciare non solo a ogni ipotesi di ricandidatura alle elezioni regionali di gennaio 2020 ma anche alla propria libertà personale; idem per un Maresciallo della Guardia di Finanza in servizio di polizia giudiziaria alla Procura della Repubblica di Reggio Calabria.
L’ipotesi accusatoria della tentata corruzione, granitica per il Gip e il Riesame, veniva smontata pezzo per pezzo dalla Cassazione. In pratica, secondo l’accusa, il maresciallo Francesco Romeo avrebbe avvicinato, per il tramite del segretario del circolo Pd di Melito Porto Salvo Concetto Laganà, l’allora capogruppo in consiglio regionale Sebi Romeo, per proporgli – secondo quanto captato, seppur in maniera inutilizzabile – l’assunzione di un proprio congiunto in una ditta di trasporti in convenzione con la Regione Calabria, promettendo di ricambiare il favore “Se loro hanno bisogno della Procura”.
Il sordido accordo si sarebbe dovuto stipulare a margine di un incontro conviviale organizzato dal Laganà il 17 luglio del 2015, tanto da indurre il Tribunale alla convinzione del perfezionamento del patto.
Ma non solo.
Sempre secondo l’accusa, non era causale il fatto che il captatore informatico (cosiddetto file trojan) installato nel telefono di Sebi Romeo smettesse di funzionare, collegando tale circostanza al fatto che, nel corso della perquisizione disposta quattro anni dopo, nel 2019, nell’ufficio del finanziere Francesco Romeo alla Procura Generale di Reggio Calabria, venivano ritrovati alcuni articoli giornalistici estratti da internet sul tema del captatore informatico.
Tanto bastava al Tribunale per convincersi dell’esigenza della misura degli arresti domiciliari.
Sebi e Francesco Romeo, quindi, tramite i loro avvocati, contestavano, tra l’altro, la violazione di legge, il vizio di motivazione quanto alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi e il vizio di motivazione in ordine alle esigenze cautelari.
La Cassazione accoglieva i ricorsi, pronunciandosi per “la palese e assoluta inconsistenza delle ipotesi di accusa”, per la “irrilevanza anche degli stessi elementi desunti dalle prove inutilizzabili e che, però, si possono considerare in favore dei ricorrenti, e per la genericità delle tesi di accusa e dalla incertezza sul fatto, risolta con l’apparente scorciatoia del reato tentato” “tanto da apparire indice della ricerca di elementi giustificativi di una tesi di accusa priva di qualsiasi aggancio concreto”.
Insomma, la Cassazione, nel disporre l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza del Tribunale del Riesame, definisce l’accusa a carico di Francesco e Sebi Romeo “Del tutto congetturale, senza alcuna corrispondenza dei pochi dati fattuali”.