di Antonella Scabellone
LOCRI- L’acqua può rendere più della droga. Specie se buona, come quella che sgorga in montagna. Si può arrivare a guadagnare, mettendosi in proprio, circa 18 mila euro al mese. Ed è per questo che procurasela in territorio d’altri, senza le dovute “autorizzazioni”, può rivelarsi un’operazione molto rischiosa. Tanto da compromettere gli equilibri interni di un’organizzazione piramidale e stratificata come la ‘ndrangheta.
In sostanza è quello che ha rischiato di succedere nel febbraio del 2010 allorquando due uomini vicini al clan Aquino di Marina di Gioiosa Jonica, a bordo del proprio camion carico di cassette d’acqua da riempire, per poi rivendere, transitando nel territorio di Ciminà, vennero per ben due volte intimiditi. La prima volta da due individui incappucciati e armati. La seconda volta, addirittura, a colpi di pistola.
Ma come era possibile che dei malavitosi venissero a loro volta aggrediti da altri malavitosi, con cui, tra l’latro, erano in credito, per aver fornito ospitalità in passato a dei loro compaesani latitanti? L’episodio, ai più incomprensibile, creò una sorta di incidente diplomatico tra il locale di Marina di Gioiosa Jonica, a capo del quale si ritiene ci fosse Rocco Aquino, e quello della più piccola Ciminà, guidato presumibilmente da Nicola Nesci. Si rese necessario pertanto un summit tra gli esponenti delle varie società per calmare le acque e ciò avvenne ad Antonimina, in località Tre Arie, in un capannone isolato, luogo ritenuto sicuro, e non intercettabile, grazie alla mancanza di luce e linea telefonica. Ma in quel capannone le forze dell’ordine riuscirono ad arrivare comunque, grazie a una potente microspia che si autoalimentava mentre, da non molto lontano, ben posizionato e occultato, un agente osservavano il tutto con un grosso binocolo e riprendeva.
All’incontro in quel capannone, organizzato con l’intermediazione di Giuseppe Raso, presunto capo del locale di Antonimina,parteciparono: Giuseppe Commisso detto il mastro, ritenuto leader del clan Commisso di Siderno; Monteleone Larosa Fortunato, Raso Giuseppe e il figlio Daniele, ritenuti appartenenti al locale di Antonimina; Nicola Nesci e Nicola Varacalli presunti appartenenti al locale di Ciminà. E ovviamente il diretto interessato, Rocco Aquino, di Marina di Gioiosa Jonica. Questo, molto contrariato, chiese lumi a Nesci sullo sgarro ricevuto da suoi affiliati in territorio di Ciminà minacciando che, se da quel momento in poi, per attingere l’acqua, si fosse preteso il pizzo, nessuno dei richiedenti sarebbe più passato impunito sul territorio di Marina di Gioiosa Jonica.
Nesci, inizialmente titubante, rasserenò gli animi, garantendo che tutto sarebbe rientrato nella normalità e che si era trattato solo di una ragazzata. Invero qualcuno dietro le spalle lo accusò di non saper controllare il proprio territorio e di non essere in grado di imporsi sulle nuove leve.
L’episodio appena narrato, che secondo gli inquirenti ricostruisce in maniera inequivocabile ruoli, dinamiche, costumi e organizzazione della malavita locale, ha occupato solo una parte della deposizione fiume del dottor Stefano Dodaro, ex dirigente del Commissariato di Siderno, sentito ieri come teste dell’accusa nel processo denominato “Morsa sugli appalti pubblici” che si sta celebrando con rito ordinario innanzi al Tribunale di Locri. Dodaro, rispondendo alle domande del Pm Antonio De Bernardo, ha riferito, nel corso del lungo esame iniziato in mattinata e concluso nel tardo pomeriggio, degli esiti delle indagini compiute all’epoca del suo incarico presso il Commissariato di Siderno confluite nell’inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, denominata appunto Morsa sugli appalti pubblici, che ha dato esecuzione nel 2014 a nr. 29 ordinanze di custodia cautelare in carcere e degli arresti domiciliari, nei confronti di altrettanti soggetti, ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione mafiosa transnazionale estorsione aggravata e reati in materia di armi.
L’operazione che ha permesso di proseguire l’azione di contrasto alla “società di Siderno” ed alle cd. società minori (i vari locali di ‘ndrangheta di Gioiosa Jonica, Natile di Careri, Canolo, Ciminà, Antonimina e Caulonia, orbitanti attorno alle famiglie dei COMMISSO di Siderno e degli AQUINO di Marina di Gioiosa Jonica), ha permesso di ricostruite la pressione sull’economia locale e le attività estorsive dei clan ricollegabili al settore dei pubblici appalti.
Nel corso del lungo interrogatorio sono emersi anche particolari sulle tangenti relative alle opere di costruzione dell’impianto di distribuzione delle acque della diga sul Torrente Lordo nel Comune di Siderno, e su quelle in danno delle ditte impegnate nei lavori di adeguamento della S.S. 106.L’esame di Dodaro continuerà il 18 febbraio.
Nell’udienza appena conclusa si è completata inoltre la costituzione delle parti civili, tra cui figurano i comuni di Siderno, Locri, Caulonia, Antonimina, Gioiosa Jonica, Marina di Gioiosa Jonica e Nardodipace.